TRA RICONOSCENZA E INVOCAZIONE

di Don Giuseppe Toffanello da Difesa del Popolo di domenica 15 maggio 2022

Alcune persone mi confidano di non riuscire a capire papa Francesco. Mi arrivano anche messaggi allarmati nei suoi confronti. Di sicuro arrivano anche a lui. Ma lui non si difende, non attacca. Mi fa bene questo. Confida che la Chiesa è nelle mani del Signore, il quale la plasma anche attraverso difficoltà, incomprensioni, paure. Per questo il papa continua a fare il contadino, il pescatore, il pastore (ognuno lo è: AL 322), sapendo che l’opera e le parole di Dio producono buon frutto non con un consenso esteso e immediato, ma con un tempo di pazienza e con il contributo, le sfumature di tutti (cf. Evangelii gaudium).
All’ultimo capitolo di Amoris laetitia scrive che «le preoccupazioni familiari non devono essere qualcosa di estraneo» alla vita spirituale (n. 313). In famiglia «è difficile fingere e mentire, non possiamo mostrare una maschera» (AL 315), per cui neanche lui, il papa, può mostrare una maschera, e accetta che gli altri credenti si esprimano, non fingano. Anzi, «i bisogni fraterni e comuni-tari della vita familiare sono un’occasione per aprire sempre più il cuore» (AL 316). Nella grande “famiglia” che è la Chiesa, il papa vive una spiritualità ispirata dall’esperienza di tantissime famiglie.
Per molti, famiglia, spiritualità, fede… sono parole che richiamano responsabi-lità, impegno, darsi da fare, procurarsi mezzi, imparare tecniche… E allora sono parole che fanno paura. E invece nel nostro testo la spiritualità è qualcosa che fa Dio, e anche la famiglia la fa prima di tutto Dio. Siamo abitu-ati nel nostro tempo a sottolineare fatiche, insuccessi, limiti, e ne restiamo “immagati”, ripiegati sull’impotenza. Fatichiamo a intravvedere, in mezzo a tutto questo, quello che Dio vi sta facendo. Spiritualità invece è riconoscenza e invocazione: riconoscere le meraviglie che Dio compie, uscendo dall’incantamento del male, e attendere, desiderare i prossimi passi della sua danza.
Riconoscere e chiedere sono verbi della grazia. Avvengono se crediamo che la libertà e l’amore dell’altro (dell’Altro) generano un frutto migliore che realizzare quello che pensiamo meglio noi. Avvengono se a questa libertà e a questo amore ci apriamo, per scoprirlo e per consegnarci all’imprevedibile che ne può venir fuori.
Riconoscenza/riconoscimento e richiesta/invocazione in fondo non sono solo “mezzi” del nostro incontro con Dio, ma esperienze che molti imparano da piccoli nel clima di famiglia, e che da lì con il tempo si sono estese all’incontro con Dio.
Anche i sacramenti sono esperienze che prendono origine dalla famiglia: bagno che lava e rigenera; unzione che carezza, rinforza, guarisce, stimola; cibo che nutre; abbraccio che perdona; consegne date con fiducia… si allargano alla vita della Chiesa. Diventano gesti di Gesù che lo Spirito attualizza. E che tornano a fecondare la vita della famiglia.
Nella famiglia Dio può aiutare a sopportare “giorni amari” (AL 317) e che l’altro non sia “mio”. E quindi a ricevere come grazia, non come diritto, momenti in cui ci si capisce, momenti in cui c’è intimità profonda, in cui le esigenze sono soddisfatte (AL 320).
«Nessuna famiglia è una realtà perfetta e confezionata», richiama il papa verso la fine. «Purezza di intenzioni e coerenza» le «potremo trovare solo nel Regno definitivo»: è un’affermazione di fede, speranza che quello che verrà fuori dal nostro desiderare, agire, amare, sia un frutto maturato insieme, con il contributo di tutti, con i colori di tutti, e con il tocco finale da artista di Dio stesso. La famiglia è qualcosa che “diventa”, perché amare è attendere da ogni persona “qualcosa di indefinibile, di imprevedibile”.
Questo è “un culto a Dio”, perché è lui a seminare cose buone; lui coltiva la speranza che tutti contribuiscano a farle crescere negli altri (AL 322).

 

Gruppi famiglia

Un’esperienza da coltivare

Sulla scia del Concilio Vaticano II, della riflessione dei vescovi italiani sulla famiglia, dell’Azione cattolica e di altre realtà e movimenti ecclesiali, negli ultimi decenni si è diffusa ampiamente l’esperienza del gruppi famiglia, ossia di itinerari formativi in cui coppie di una determinata fascia di età o età
diverse si ritrovano insieme periodicamente per approfondire la propria esperienza alla luce della fede. Negli ultimi anni questa esperienza si è ridotta in modo significativo, anche per il calo numerico di partecipazione alla vita ecclesiale e il venire meno della disponibilità ad appartenere a percorsi strutturati da parte delle famiglie. Il ricco bagaglio di tanti gruppi, tuttavia, suggerisce alle famiglie di non tralasciare la vita di gruppo, così da camminare nella relazione di coppia e nella fede ma anche condividere l’accompagnamento dei figli nella loro crescita o affrontare eventuali passaggi difficili della vita. Si tratta di fare una sana alleanza per vivere i valori che la fede consegna.
Gestire un gruppo famiglie non è facile: chiede di chiarire e condividere le finalità e il metodo, nonché le attenzioni perché possa essere una realtà significativa e aperta, capace di segnare la vita familiare ma anche di rimanere esplicitamente comunitaria. Domanda l’impegno di tutti nonché una progettazione accurata ed elastica, capace di andare incontro alla vita con-creta delle persone, peraltro oggi particolarmente frammentata.
Proprio dalla vita reale arrivano delle novità che potrebbero portare nuova linfa alla vita di gruppo e delle singole persone. La presenza in comunità di adulti single, vedovi oppure separati, divorziati o in nuova unione nonché del presbitero e dei consacrati potrebbe offrire l’occasione per progettare una formazione capace di integrare tutti, senza nulla togliere ad alcuni momenti specifici dove la coppia, i genitori o l’adulto in sé possano dare risposta a dei bisogni “particolari”.

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