VERSO IL MATRIMONIO (2): un kerigma irricevibile

di Gilberto Borghi e Sergio Di Benedetto Da VinoNuovo spunti per l’umanità di oggi 14 luglio 2022

Continuiamo nella lettura del documento pensato per i fidanzati, andando a esaminare alcuni nodi problematici: le questioni del kerigma, dei linguaggi, dell’antropologia di fondo del testo.

Abbiamo già pubblicato un post sul documento del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, intitolato Itinerari catecumenali per la vita matrimoniale. Orientamenti pastorali per le chiese particolari. Concludevamo dicendo che il documento chiede un “serio ripensamento” della pastorale media per le coppie, ma in esso emergono alcuni freni ed impedimenti a tale ripensamento.

Il primo riguarda il tentativo di trasformare la preparazione al sacramento in un nuovo annuncio della fede cristiana, un rinnovato kerigma, che, declinato sul tema del matrimonio, possa riaccendere la fede. Per fare questo non basta ribadire le verità del matrimonio cristiano, ma è necessario che la presentazione della sua bellezza possa essere percepita come attraente secondo le categorie di chi riceve l’annuncio, non secondo quelle di chi lo proclama. Tali persone, mediamente, oggi, sono attirate da ciò che provoca emozione e senso di energia, da ciò che tocca il cuore e il corpo più e prima che la testa.

Ora, quando il documento prova a descrivere proprio la bellezza da annunciare, affinché il percorso per il sacramento riattivi la fede, così si esprime: «La proposta catechetica cercherà di far apparire la natura coniugale e familiare dell’amore e ne metterà in luce tutte le caratteristiche peculiari: totalità, complementarietà, unicità, definitività, fedeltà, fecondità, carattere pubblico. “L’annuncio evangelico” sul matrimonio mostrerà che queste sono le caratteristiche che scaturiscono dal dinamismo intrinseco dell’amore umano. Ciò vuol dire che fedeltà, unicità, definitività, fecondità, totalità, sono in fondo le “dimensioni essenziali” di ogni autentico legame d’amore, compreso, voluto e coerentemente vissuto da un uomo ed una donna, e non solo le “note caratteristiche” del matrimonio cattolico. La pastorale coniugale, in definitiva, dovrà sempre avere un tono gioioso e kerygmatico” (n. 39).

Si evidenzia da sé che questa prospettiva appare bella solo per chi è già dentro la fede e la vive con sufficiente maturità. Anche molti sposi cristiani farebbero fatica a sentire ‘bella’ questa presentazione del matrimonio. Se parla, questa prospettiva, lo fa alla testa di qualcuno, non certo al cuore e nemmeno al corpo, perciò è altamente probabile che non sia efficacie. Questo non significa che ciò che si dice qui sia sbagliato, è solo che risulta irricevibile proprio da chi dovrebbe trarne giovamento, perché “lontana” dal vissuto reale dei fidanzati, e poco attenta agli aspetti “attraenti” del matrimonio.

La sensazione che abbiamo avuto, leggendo il documento, è che questa scelta, sia per il contenuto che per la forma, non sia semplicemente un errore comunicativo, ma sia frutto dell’impostazione antropologica di fondo con cui il documento è scritto. In essa le dimensioni istintive ed emozionali di una relazione sponsale non vengono mai indicate come fonti di bellezza per chi vive la relazione nella fede; spesso sono semplicemente date per scontate, perché dal punto di vista spirituale sembrano ininfluenti, oppure, nel peggiore dei casi, sono percepite come fonte di rischio. O ancora, sono subordinate a un appello alla volontà: che rischia di diventare volontarismo se non armonizzato in una visione integrale dell’umano, che abbracci corpo, emozioni, sentimenti, ragione, volontà.

Un’ulteriore prova di questo è data dall’insistenza con cui si parla di «pastorale del vincolo», dove emerge che, di fronte alla crisi, lo scopo unico dell’accompagnamento degli sposi pare sia quello di salvaguardare il vincolo: «La pastorale matrimoniale sarà soprattutto una pastorale del vincolo» (93);  «È necessario, insistere sulla sacralità del vincolo coniugale e, come l’esperienza dimostra, sul fatto che i beni – spirituali, psicologici e materiali – che derivano dalla preservazione dell’unione, sono sempre di gran lunga superiori a quelli che si spera di ottenere da una eventuale separazione. In tal modo si insegneranno la giusta pazienza, la fortezza d’animo e la prudenza da avere nei momenti di difficoltà, imparando a non vedere nello scioglimento del vincolo coniugale una sbrigativa soluzione dei problemi, come purtroppo sovente viene consigliato alle coppie» (81).

Un’impostazione di questo tipo fa appello a un volontarismo che riduce la grandezza e la bellezza del matrimonio a una sua dimensione, quella della volontà, quasi dandone una declinazione esclusivamente giuridico-morale, (solo in parte poi corretta dal n. 93, segno di tensioni non ricomposte che animano il documento). Sembra che basti salvare il “vincolo”, senza quella necessaria attenzione a tutte le dimensioni esistenziali in gioco in un momento di crisi.

Questa carenza di attenzione globale a tutte le dimensioni si vede molto bene nell’analisi lessicale del documento. La parola ‘corpo’ compare una sola volta come teologia del corpo, e altre tre riferite al corpo di Cristo e alla Chiesa come corpo. La parola ‘sesso’ non c’è mai. Come pure le parole ‘istinto’ ed ‘emozione’. La parola ‘sessualità’ compare 23 volte: 8 legate al rischio etico o spirituale; 6 alla necessità di educare la sessualità; 4 come citazioni di documenti, 5 come elemento insieme ad altri che compone la vita coniugale, che assieme fanno 9 ricorrenze neutre. Nessuna ricorrenza che ne descriva il valore della sua bellezza. La parola ‘attrazione’ due volte, una citata da Amoris Laetitia e una con accezione negativa. La parola ‘sentimento’ compare 3 volte, di cui una in senso negativo.

Ancora: ‘piacere’ è citato una sola volta, indicando ciò che Francesco prova nello scrivere la prefazione al documento. Il ‘desiderio’ compare 15 volte, di cui solo 4 indicano il desiderio vissuto nel matrimonio, ma 3 di queste lo segnalano come qualcosa di pericoloso. Anche ‘gioia’ compare poco, al di là delle aspettative (il kerigma è di suo qualcosa di gioioso!): 8 volte di cui solo 3, connesse alla vita coniugale. Per contro ‘pazienza’ è citata 10 volte, ‘fatica’ 6 volte, tutte relative alla vita di coppia; ‘dovere’ 7 volte di cui 4 riferite alla vita matrimoniale. Come si può pensare di essere attraenti e di manifestare in modo percepibile alle persone di oggi la bellezza del matrimonio, con questa visione antropologica? Così impostato è arduo poi dire alle giovani coppie la “buona notizia” della vocazione matrimoniale (cosa su cui, in realtà, Amoris Laetitia aveva invece più opportunamente insistito).

https://www.vinonuovo.it/teologia/pensare-la-fede/verso-il-matrimonio-2-un-kerigma-irricevibile/

La nostra riflessione toccherà, nei prossimi articoli, il tema del catecumenato, della castità, della sessualità, del rapporto tra psicologia e spiritualità.