La fede è un cammino fatto di aspettativa e fiducia. E il nostro modo di camminare nella fede è a tentoni, come se vedessimo l’invisibile, secondo la bella formulazione della Lettera agli Ebrei (11,7). Siamo abitati dalla possibilità di Dio, da una inesauribile domanda. Ma la vicinanza di Dio alla nostra storia non annulla la dimensione purgativa, l’esperienza dell’esistenza in quanto tale fatta di interrogativi e di agonie, dubbi, deserti, notti oscure. Nemmeno la fede ci fa entrare in uno stato di immunità a tutto questo, in una capsula di neutralità. La fede ci espone apertamente al silenzio, alle andate e ritorni dal sepolcro vuoto senza capirci nulla, al fare e rifare.
La difficoltà di credere non snatura la fede. Al contrario, ne è un elemento fondamentale. La fede viene a noi come un dono. Da parte nostra, ciò in cui possiamo insistere è la supplica incessante a Dio perché ci aiuti a vedere. Mi viene in mente una piccola storia raccontata dallo scrittore Eduardo Galeano nel suo Il libro degli abbracci. Vi si parla di un bambino, Diego, che viaggia verso sud con il padre per vedere per la prima volta il mare. Quando, dopo molto andare, arrivano alla spiaggia, il mare è là, davanti ai suoi occhi. Era un azzurro e un’immensità ininterrotta senza parole. E il figlio, stringendosi al padre, gli chiese sottovoce: «Aiutami a guardare!». Credo sia questo ciò che dobbiamo chiedere a Dio.
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