Il piccolo libro di Rut è tra i libri più belli della Bibbia, se non il più bello dal punto di vista narrativo. Contiene molti messaggi etici, sociali, economici e religiosi, ma prima e soprattutto è una storia meravigliosa, una stupenda novella. È una storia familiare, nuziale, è un brano della storia di Israele; ma prima ancora è una storia di donne, la storia di due donne co-protagoniste, tanto che potremmo anche chiamarlo Libro di Rut e Noemi. Perché se Rut emerge come una donna semplicemente splendida, non meno grande e affascinante è la figura di sua suocera Noemi, e il rapporto tra di loro. La storia di due donne sole, donne straniere, donne migranti, donne in cammino, donne amiche (una etimologia del nome ebraico Rut è “la compagna”). Una storia che si svolge lungo la strada, nei campi, nell’aia di casa, quasi interamente all’aria aperta. Non è storia di palazzo né di tempio. Tutto ruota attorno a quel rapporto speciale, tenace e unico con la vita che è tipico delle donne. Un libro che non solo parla di donne, ma è attraversato da uno sguardo tutto femminile. Ci sono espressioni, scene, dettagli grammaticali che sembrano provenire direttamente dal repertorio linguistico e intimo delle donne. Tanto che qualche autore e autrice ha azzardato (l’improbabile) ipotesi che l’autore del libro sia una donna: «Se c’è un libro della Bibbia per il quale possiamo assumere che è stato scritto da una donna, questo è il libro di Rut» (Irmtraud Fisher, Il libro di Rut come letteratura esegetica).
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