Nome che stai al centro, / il tuo suono ciocca / e s’imperla di voci / ma nessuna ti tiene, / nessuna ti osa in suoni, / in lettera e in cifra. / Nelle tue solitudini / di mai chiamato. / Come tutto è assai strano. / A me sembra. Assai strano. / Ti piantóno, ti indago, / mi avvicino in millimetri. / Ti ho nella voce / senza che esca in suono
Mariangela Gualtieri, Nome che stai al centro
Rut torna a Betlemme con in spalla l’orzo raccolto spigolando dietro i mietitori diventati generosi perché obbedienti al comando di Boaz, il loro padrone. La vediamo avanzare, al tramonto di una lunga giornata che è trascorsa tutta all’aria aperta e sotto il sole, con in spalla il pesante sacco pieno d’orzo. Un lavoro duro, lavoro di poveri, di donne povere. Sono passati due millenni e mezzo da questi versi, ma continuiamo a vedere troppe donne che sul finire del giorno avanzano portando sulle spalle carichi troppo pesanti. Questa pandemia è stata dolorosa per molti, sotto certi aspetti lo è stata per tutti; ma soprattutto lo è stata per le donne, che hanno dovuto farsi carico, caricarsi sulle spalle genitori e bambini. Troppe Rut tornano a casa la sera troppo stanche. La cura, sempre più necessaria, diventerà sostenibile per le donne solo quando diventerà l’arte di tutti, uomini e donne. «Sua suocera Noemi vide ciò che aveva spigolato. Rut tirò fuori quanto le era rimasto del pasto e glielo diede» (Rut 2,18). Come suo primo gesto Rut dona a Noemi una parte del grano tostato che aveva messo da parte durante il suo pranzo con i mietitori. Il testo dice che quel grano era avanzato dalla sua “sazietà”, ma noi sappiamo che è parte del mestiere delle donne di ieri e di oggi racimolare parte del loro pasto per condividerlo con chi non ha mangiato.
Quel grano tostato messo in veste e custodito fino a sera per Noemi non era grano superfluo, probabilmente era grano necessario. Donne e uomini abbiamo, spesso, misure diverse per misurare il necessario e separarlo dal superfluo. È raro vedere una donna, in particolare una madre, che si sazia senza includere nella sua sazietà coloro che non stanno ancora mangiando. Non possono, non riescono a saziarsi quando qualcuno che amano ha ancora fame. È una sazietà collettiva, una sazietà di comunione, che arriva solo quando e se ci si sazia insieme. È questa sazietà parziale e condivisa che fa sì che nelle comunità muoiano meno fragili e poveri durante le crisi e le carestie. La sazietà diversa delle madri ha salvato e continua a salvare, come i sistemi di Welfare. Le mense di casa sono spesso luoghi di fraternità e sororità e non di sopruso dei più forti perché c’è almeno una donna che custodisce cibo per chi non è ancora tornato da scuola, per i più piccoli e per le sorelle, che ha cura delle non-sazietà assenti. La fraternità è una sazietà misurata sulla base di chi non è sazio o non è ancora arrivato a tavola. La suocera le chiese: “Dove hai spigolato oggi? Dove hai lavorato? Benedetto colui che si è interessato di te!”». Noemi, più esperta di Rut, capisce subito che tutto quell’orzo non poteva essere frutto della semplice spigolatura, perché molto maggiore di
quella di un normale giorno di raccolta. Capisce che qualche proprietario terriero era stato particolarmente benevolente con lei. Rut non sapeva che tutto quell’orzo che aveva trovato dietro i mietitori erano frutto dell’ordine dato da Boaz agli uomini di “lasciar cadere le spighe” – questo lo sappiamo solo noi. Noemi lo intuisce, e quindi vede molto dono dentro quel salario.
Noemi benedice l’anonimo uomo che si è “interessato” a Rut. Il verbo nakar lo possiamo tradurre “interessarsi” ma anche e forse più propriamente “riconoscere”, in particolare riconoscere chi è estraneo. Quel raccolto molto buono portato a casa da Rut è frutto di un riconoscimento di una donna estranea (moabita), che si trovava in una triplice condizione di svantaggio: donna, povera, straniera. Il riconoscimento di una donna povera e straniera si era concretizzato in un “salario” particolarmente generoso, un intreccio fatto di lavoro e di dono. E qui troviamo un’altra perla antropologica ed economica. Quando nel mondo del lavoro ci si trova di fronte ad una persona in una condizione inferiore ed “estranea”, ogni riconoscimento vero deve iniziare da un salario generoso, che superi quello previsto dal normale mercato del lavoro. Perché in ogni società i salari dei poveri non sono mai giusti anche quando fatti dal mercato – il mercato è immagine quasi perfetta dei rapporti di potere che reggono una società. Riconoscere un lavoratore povero significa prima di tutto riconoscergli un salario più alto di quello “normale”, perché il salario normale sarebbe insufficiente. Qui il dono diventa doveroso affinché i salari possano diventare giusti. E invece, ieri e oggi, la forma più normale di non riconoscimento di poveri, stranieri, donne è umiliarli con salari “normali” che non sono mai giusti perché troppo bassi. Oggi i salari normali di mercato pagano un bracciante emigrato stagionale un salario mensile che è più basso di un’ora di lavoro di un economista. Sono salari normali e ingiusti, che non riconoscono la dignità dei lavoratori e delle lavoratrici. E quando un imprenditore “diverso” aumenta i salari ai suoi lavoratori, includendoci anche una parte che non dovrebbe esserci per la legge del mercato, sta usando il dono per compiere un atto di giustizia. La storia del lavoro ha conosciuto molti gesti nati doni e maturati più tardi in diritti.
«Rut raccontò alla suocera con chi aveva lavorato e disse: “L’uomo con cui ho lavorato oggi si chiama Boaz”» (2,19). Ora anche Noemi sa il nome di Boaz, e dice una seconda benedizione: «Noemi disse alla nuora: “Sia benedetto da YHWH, che non ha rinunciato alla sua misericordia verso i vivi e verso i morti!”» (2,20). Ora la benedizione è personale, è per Boaz. Dal testo ebraico non si capisce se il pronome “che” si riferisce a Boaz o a YHWH, quale dei due sia il misericordioso. L’autore forse non ha voluto sciogliere l’ambiguità per tenere assieme l’hesed (misericordia) di Dio e quella di Boaz. Perché nella Bibbia la misericordia-amore di Dio si manifesta, si deve manifestare, nella misericordia-amore di uomini e donne. E qui il libro di Rut continua a rivelarsi come un libro tutto nostro. È un libro che parla di noi. Qui la voce di Dio e la sua provvidenza arrivano attraverso voci e provvidenze di donne e uomini. Non tutti siamo profeti e non tutti abbiamo il dono di sentire direttamente la voce che ci chiama. Ma tutti possiamo riconoscere la mano di Dio nelle mani di uomini e donne che diventano provvidenza e misericordia per noi. Troppe persone non sperimentano la mano della provvidenza perché le nostre mani non sono abbastanza generose. Il riconoscimento che chiama la riconoscenza assume ancora una forma indiretta: Boaz (A) ha riconosciuto Rut (B) e Noemi (C) benedice con riconoscenza Boaz (A). Le benedizioni più belle sono quelle che ci giungono da chi guarda la nostra azione di riconoscimento e ci ricolma di riconoscenza. È il tre il numero primo della grammatica sociale.
Quando Rut, all’inizio del giorno, era partita per spigolare, aveva lasciato Noemi ancora triste, “amara” e “vuota” (1,20), convinta che Dio l’avesse abbandonata. Ora, al termine di questo primo giorno, Noemi ci appare piena di vita e di parole, ritrova il senso del suo nome Noemi (“la dolce”), benedice due volte e menziona il nome di YHWH con benevolenza e gratitudine. È l’esperienza della benevolenza di Dio e degli uomini (Boaz) che risveglia in lei la voce di Dio. Altro grande messaggio di questo libro. Le depressioni spirituali, diversamente da quelle psichiche, spesso si
originano quando una persona, che ha fatto della vita interiore il capitale più prezioso della propria esistenza, inizia a sentire con forza e per un lungo tempo la scomparsa di una presenza intima, la più intima. In una prima fase lotta, cerca altre sintonizzazioni più sottili o profonde, ma se l’assenza permane la persona sprofonda in una vera e propria notte dello spirito, nella quale non si vede né l’alba né la speranza dell’alba. Si insinua la convinzione che la voce che era stata l’anima dell’anima sia scomparsa per sempre e non parlerà più. La Bibbia ci dice che da queste depressioni speciali, che somigliano molto alle depressioni “normali” (ma sono molto diverse), si può uscire in due modi. La soluzione più comune è un intervento diretto di Dio che irrompe nella vita della persona depressa spiritualmente (Elia, Anna, Abramo, etc.). Ma ora scopriamo che c’è anche la soluzione del libro di Rut, dove una donna (Noemi) esce da una depressione perché ritrova la presenza di Dio attraverso la benevolenza di un uomo. Ma diversamente da altri passi biblici dove la persona umana che risveglia nell’altro la presenza spenta di Dio è un profeta (Eliseo, Isaia, Natan, Gesù stesso), nel libro di Rut a risvegliare Dio in Noemi è l’azione di un uomo ordinario, di una persona normale, di uno come noi. E la ritrova, ancora, indirettamente: Noemi (A) vede agire Boaz (B) con misericordia verso sua nuora Rut (C), e in questa azione generosa Noemi risente l’amore di Dio (D) e della vita verso se stessa (A). Al Dio biblico piace intrufolarsi dentro le nostre reciprocità, nascondersi dietro le maschere-persone della commedia umana che è anche divina.
Non possiamo sapere quante Noemi ritrovano Dio nella loro anima perché hanno visto un Boaz diventare provvidenza generosa per una Rut. La Bibbia ci svela la trama della storia, ci dà alla fine la visione d’insieme del racconto, dove tutto diventa trasparente. Ma nel libro della vita le maschere non sempre si tolgono alla fine. Noi conosciamo solo alcuni brani, a volte solo alcune parole della storia che stiamo scrivendo. Forse solo in paradiso ci accorgeremo di quanti Boaz c’erano dentro le nostre resurrezioni, e quante Noemi avevamo risorto perché avevamo riconosciuto, amato e accolto un povero, una straniera, una vittima, e qualcuno ci aveva guardato. Capiremo finalmente che anche dietro alle nostre misteriose risurrezioni che qualche volta ci hanno fatto rialzare quando pensavamo fosse finita, che ci hanno fatto riscoprire il nostro vero nome, c’era stato qualcuno che aveva amato anche per noi. La Bibbia è questo paradiso-quaggiù, che ci dice e assicura che le trame invisibili d’amore che si compongono attorno a noi, sono più numerose e preziose delle poche che riusciamo a vedere a occhi nudi.
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