Senza antenati, senza nozze, senza discendenti, con una voglia selvaggia di antenati, di nozze e di discendenti… Di tutto esiste un surrogato misero, artificiale: degli antenati, delle nozze e dei discendenti
Franz Kafka, Diari, 22 gennaio 1922
Alcune poche parole hanno la sublime capacità di aprire le nostre storie, anche la storia di una vita intera. Qualche volta una sola parola riesce ad aprire un libro, una parola simile e diversa da tutte le altre sue parole. Il libro di Rut si apre pronunciando: Goèl. Il riscattatore, il redentore. La Legge di Mosè prevedeva degli obblighi giuridici in capo ai parenti quando una donna restava vedova e senza eredi. Il goèl è infatti un parente, in genere un parente stretto, che in alcuni casi specifici deve riscattare diritti – in genere sui patrimoni mobili e immobili – di altri membri dello stesso clan. In particolare deve recuperare beni alienati in condizione di grave necessità (Ger 32), o liberare membri della famiglia venduti come schiavi a causa di debiti non pagati (Lv 25,47 e ss). Una istituzione meravigliosa, che ci invita ancora a chiederci dove sono i goèl per i tanti schiavi del nostro tempo dimenticati nelle carceri o nella solitudine delle loro case. Del goèl si parla anche nel libro di Giobbe, quando al culmine del suo grido di querela rivolto a Dio, dal suo mucchio di letame esclama: «Io so che il mio goèl è vivo e che alla fine si alzerà sopra la polvere!» (Gb 19,25). Nella Bibbia goèl è anche YHWH stesso, che riscatta e salva Israele, suo parente stretto; ma Goèl è il messia che riscatterà e salverà il suo popolo e la terra intera, che geme e grida finché non arriverà e riscatterà tutti i poveri e tutte le vittime, senza dimenticarne nemmeno uno. Perché fino a quando ci sarà sulla terra un non-riscattato la fraternità umana sarà sempre incompleta, la giustizia incompiuta, la gioia non piena.
«Noemi aggiunse: “Quest’uomo [Boaz] è un nostro parente stretto, uno dei nostri riscattatori [goèl]”. Rut, la moabita, disse: “Mi ha anche detto di rimanere insieme ai suoi servi, finché abbiano finito tutta la mietitura”. Noemi disse a Rut, sua nuora: “Figlia mia, è bene che tu vada con le sue serve e non ti molestino in un altro campo”» (Rut 2,20-22). Boaz, il generoso padrone del campo di frumento in Betlemme, è dunque un possibile goèl di Noemi e di Rut.
In realtà, se guardiamo bene, ciò che ha in mente Noemi non è solo invocare il diritto di riscatto. Innanzitutto la parente di clan è lei, Noemi, non Rut, che è straniera (moabita). Lei disegnerà il proprio piano affinché Boaz non riscatti soltanto l’eredità di suo marito, ma prenda Rut in moglie. Qualcosa più vicino all’istituto del levirato che non a quella del goèl. Il levirato prevedeva infatti l’obbligo del cognato di sposare la moglie del fratello rimasta vedova, un obbligo che in molti casi si estendeva anche ad altri parenti meno stretti.
Noemi vedeva dunque in Boaz la figura del suo e loro salvatore. Ma dopo quel primo incontro nel campo nel quale Boaz si era mostrato interessato e molto generoso verso Rut, nelle settimane successive di mietitura e di spigolatura non era accaduto più nulla. Rut aveva continuato a spigolare, ma il riscatto non era arrivato: «Ella rimase dunque con le serve di Boaz a spigolare, sino alla fine della mietitura dell’orzo e del frumento, e abitava con la suocera» (2,23).
Il tempo della mietitura è finito, è giunto quello della trebbiatura. Rut non ha più motivi per incontrare Boaz – era una lavoratrice precaria e stagionale. Quel possibile riscatto intravisto sta per svanire. Ecco allora che Noemi agisce in prima persona: «Un giorno Noemi, sua suocera, disse a Rut: “Figlia mia, non devo forse cercarti un luogo di riposo che sia bene per te? Ora, tu sei stata con le serve di Boaz: egli è nostro parente e proprio questa sera deve ventilare l’orzo sull’aia» (3,1-3). Nel primo capitolo Noemi aveva detto che sarebbe stato YHWH a «fare misericordia» alle sue due nuore, Orba e Rut. Finora Noemi era stata passiva, in attesa di questa misericordia. A un certo punto aveva confidato in Boaz. Ma ora Noemi smette di attendere passiva e passa all’azione, aiuta la Provvidenza ad aiutare Rut. È tipico delle donne nella Bibbia saper individuare quando in situazioni di crisi è giunto il momento di agire, ed agiscono subito, in fretta. Sanno stare molto bene in attesa, ferme, anche sotto le croci. Ma queste attese e questi stabat sono preparazione per il momento in cui sentono che devono passare all’azione. Potremmo fare un lungo elenco di queste donne sollecite. Abigail che sommerge Davide di doni per scongiurare una guerra, Rebecca che inganna il marito Isacco a vantaggio di Giacobbe, le levatrici d’Egitto che disobbediscono al faraone per far nascere i bambini, Rispa, la madre stupenda, che in un altro tempo di mietitura seppe proteggere con il suo sacco i corpi dei figli crocifissi (2 Sam 21)…, Maria che a Cana vede diversamente e di più di suo figlio, e poi passa all’azione. Queste donne non agiscono perché qualche voce le chiama dall’alto o da fuori. Agiscono perché intercettano una voce che parla da dentro gli eventi – gli eventi emettono un ultra-suono che spesso le donne sanno percepire per un istinto naturale.
Anche la Provvidenza vista dalle donne è diversa. Sanno che la sua Mano esiste e che opera, ma sentono che quella Provvidenza deve essere attivata dalle loro azioni concrete, che quella grande Mano ha bisogno della spintarella gentile delle loro mani più piccole e creative, soprattutto quando avvertono che i disegni divini iniziano ad assumere tinte fosche e rischiano di guastarsi. Qui prendono l’iniziativa, diventano co-protagoniste delle commedie divine, senza che nessun angelo abbia dato loro il permesso. Anticipano gli uomini, anticipano Dio, purché la vita continui. Continuano a inventare e raccontare nuove storie ogni sera purché la morte ritardi il suo arrivo fino a dimenticarsi di dover arrivare. E non importa se le storie sono vere o inventate da loro al solo scopo di provare a vincere la morte. Il fatalismo è parola maschile, la sollecitudine è sostantivo femminile. Questa è anche una delle forme che assume la preghiera: ogni preghiera autentica è una piccola mano che si posa su un’altra Mano, e toccandola la sospinge, la desta, la commuove, qualche volta la muove.
Noemi è venuta a sapere (non sappiamo come) che Boaz quella sera si recherà nell’aia dove si sta trebbiando l’orzo. La trebbiatura era un’operazione decisiva nel ciclo del frumento nelle civiltà del Mediterraneo. Un gesto del lessico familiare molto amato dalla Bibbia, dai profeti soprattutto (Isaia, Geremia). La pula veniva separata dal frumento tramite ventilabri, cioè delle grandi pale di legno che soffiavano aria sulle spighe ieri mietute, legate e ora sparse nell’aia. La trebbiatura nell’aia, situata nella periferia delle città, era un periodo di festa per i contadini – ne conservo anche io un vivido ricordo di bambino. Si mangiava bene, gli uomini bevevano, nelle serate si suonava e danzava. Una di quelle feste arcaiche, dove nel ciclo naturale delle messi i popoli celebravano le loro divinità, rinnovavano i legami comunitari, si celebrava la fertilità, e si invocava la generosità del prossimo raccolto. Un clima di euforia dove erano più tollerate le trasgressioni, anche sessuali.
In questo contesto di festa pagana, Noemi congegna il suo piano per muovere una Provvidenza che pareva incagliata. È impressionante la sequenza di ordini che Noemi dà a Rut: «Làvati, profùmati, mettiti il mantello e scendi all’aia. Ma non ti far riconoscere da lui prima che egli abbia finito di mangiare e di bere. Quando si sarà coricato – e tu dovrai sapere dove si è coricato – va’, scoprigli i piedi e sdraiati lì. Ti dirà lui ciò che dovrai fare”» (3,3-4).
Làvati, profùmati, vestiti, scendi… Tutto molto chiaro e forte. Noemi sa cosa vuole, e sa che mezzi usare. Sa anche che è una mossa rischiosa, ma appare molto sicura nel suo progetto. Non sappiamo perché Noemi non incontri direttamente Boaz per parlargli. Sarebbe stato molto più prudente che far girare sua nuora – di notte, da sola, profumata e con il vestito bello – per la città e tra i commerci dell’aia.
Il libro non ci dice i motivi di questa scelta di Noemi. Forse – donna esperta – conosceva bene gli uomini, e sapeva che con loro la seduzione dell’eros può funzionare meglio della persuasione delle parole spirituali, che la legge del corpo può funzionare meglio della legge dell’agape, o diventare alleate. Ciò che è certo è che la suocera dice alla nuora di infilarsi nel letto di Boaz, uomo probabilmente anziano e sposato. Di coricarsi “con lui”, con esplicita allusione all’atto sessuale – i “piedi” nella Bibbia sono spesso usati come eufemismo per indicare i genitali. L’importante è raggiungere l’obiettivo, cioè il riscatto di Rut.
Anche questo dice la laicità della Bibbia e il suo non essere un trattato di buona educazione. Una laicità talmente radicale da diventare imbarazzante, perché preferisce imbarazzarci che tradirci. La sua salvezza passa per le azioni umane, non tutte per bene e costumate. Nella genealogia di Gesù c’è questo infilarsi dentro un letto di un uomo, anche un pezzo di questa carne è diventato Logos. La Bibbia e i Vangeli non hanno paura dell’umanità intera. Noi invece cerchiamo da due millenni letture allegoriche e messaggi teologici nascosti pur di cancellare questo gesto imbarazzante della nonna di Davide e dell’antenata di Cristo. Avremmo voluto una storia più spirituale: e invece la Bibbia ci narra storie di salvezza scritte con parole troppo simili alle nostre, perché le nostre parole diventino più grandi di noi – e così quando le useremo per chiamare gli angeli e i dèmoni questi ci risponderanno.
Nell’umanesimo biblico anche i limiti, gli errori e persino i peccati sono inseriti dentro una oikonomia della salvezza più grande. Qui non ci salvano solo le nostre virtù e il nostro lato di luce, ci salvano anche il buio e l’ombra. Il libro di Rut non condanna il piano di Noemi, i Vangeli lodano persino un amministratore disonesto (Lc 16). La Bibbia sa che siamo «poco meno degli angeli» e figli di Caino, eredi di virtù e di peccati, che solo quando vengono impastati insieme divengono quel fango capace di dare forma all’immagine di Elohim. Gli angeli c’erano già. Dio ci ha creati per vedere qualcosa di nuovo, che spesso finisce nelle strade e nei posti sbagliati, ma che resta figlio persino nei porcili. Perché ciò che conta davvero è credere che il goèl arriverà, e che ci trovi abbastanza poveri per poterlo riconoscere.
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