13 L’altro nome dell’economia

da Avvenire del 27 GIUGNO 2021 di Luigino Bruni

Il lupo dimorerà insieme con l’agnello; il leopardo si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un bambino li guiderà
Isaia 11,6

«Boaz dunque salì alla porta della città e lì si sedette. Ed ecco passare colui che aveva il diritto di riscatto e del quale Booz aveva parlato. Boaz lo chiamò: “Ehi tu, vieni a sederti qui!”. Quello si avvicinò e si sedette» (Rut 4,1). Il quarto e ultimo capitolo del libro di Rut si apre con Boaz che arriva alla porta della città, e si siede. Molte città antiche medio-orientali, inclusa la piccola città di Betlemme, non avevano l’agorà, il foro o la piazza al centro. Le case si affastellavano l’una sull’altra dentro le mura, e lo spazio pubblico si creava nei pressi della porta, nella zona liminare, nella soglia tra interno ed esterno. Lì c’era un gran viavai di gente che entrava e usciva, era l’intersezione tra città e campagna, tra residenti e stranieri. Era anche il luogo dei mercati, dei dibattiti pubblici, della vita politica della città, da lì i profeti parlavano al popolo. ​
La cultura delle città con la piazza al centro è diversa da quelle con la “piazza” sulla porta. In queste ultime i mercati, la politica, le dispute giuridiche non sono custodite nel cuore della città; non ci sono i palazzi dei capitani e i templi a fare da sentinelle della fiducia-fede della civitas. I dialoghi e gli incontri sulla porta hanno la stessa provvisorietà della strada, la sua stessa incertezza e fragilità, la sua stessa polvere e arsura estiva, la stessa esposizione agli eventi. Le nostre città globali stanno diventando sempre più simili all’antica Betlemme e lontane da Firenze; e noi, in perenne ricerca di un centro, non lo troviamo più perché non lo cerchiamo sulla soglia.

In questa piazza in movimento ed esposta, Boaz incrocia l’uomo che si era intromesso nei piani di Noemi e Rut, quello che aveva un diritto di riscatto (goèl) di grado superiore a quello di Boaz, perché parente più prossimo di Alimèlec, il marito di Noemi. Un uomo che resta anonimo, un “tizio”, senza nome. Forse perché la tradizione lo aveva dimenticato o forse, preferisco pensare, per non coinvolgere la discendenza di quell’uomo in un episodio non particolarmente edificante – sebbene, anche in questo caso, l’autore del libro non condanni nessuno. Esiste infatti un parallelismo tra questo ultimo capitolo e il primo, tra questo signore anonimo e Orpa, l’altra nuora che non segue Noemi e torna a Moab. Due rifiuti necessari all’economia del racconto, e due rappresentanti di tanti uomini e donne “ordinari”, che non vanno oltre il buon senso e i loro ordinari interessi.

«Poi Boaz prese dieci degli anziani della città e disse loro: “Sedete qui”. Quelli si sedettero» (4,2). Nel mondo antico le garanzie degli atti pubblici erano gli occhi degli altri e poi le loro parole. Erano pubblici perché avvenivano in pubblico. Quando poi un atto era particolarmente importante erano necessari gli anziani, che con la loro esperienza garantivano una saggezza diversa e preziosa. Non tutti gli uomini anziani cronologicamente erano “anziani” nel senso della Bibbia. In molte culture africane non tutti i parenti defunti sono “antenati”, ma soltanto quelli che si sono distinti in vita per saggezza e virtù. Anche in Israele gli anziani che svolgevano le funzioni giuridiche erano anziani e “giusti”. L’età anagrafica non è mai bastata a generare saggezza. Neanche nella Bibbia, dove l’età è solo uno degli assi dove si misura la qualità etica delle persone. Il secondo è costituito dalla loro virtù-giustizia, e il terzo dall’imprevedibile elezione di Dio, che può scegliere come re e come profeta dei ragazzi (Davide, Samuele, Geremia), scardinando gli altri due assi dell’edificio dell’Alleanza. Boaz ne sceglie dieci, e quella strada-piazza si riempie di soli uomini. Rut e Noemi sono le protagoniste ma sono assenti, chi parla e agisce sono i maschi. E il tono generale del libro cambia. Cambiano le parole – comprare, vendere…–, cambiano l’atmosfera relazionale e l’ambiente spirituale. Come accade ogni volta che tutte le donne lasciano la stanza e restiamo tra uomini.

«Allora Boaz disse a colui che aveva il diritto di riscatto: “Il campo che apparteneva al nostro fratello Elimèlec lo mette in vendita Noemi, tornata dai campi di Moab. Ho pensato bene di informartene e dirti: “Compralo davanti alle persone qui presenti e davanti agli anziani del mio popolo”. Se vuoi riscattarlo, riscattalo pure; ma se non lo riscatti, fammelo sapere. Infatti, oltre a te, nessun altro ha il diritto di riscatto, e io vengo dopo di te”» (4,3-4). L’oggetto del discorso sono Noemi e Rut, ma le due donne non ci sono. Sono esposte nella pubblica piazza e sono assenti. Una delle povertà delle donne (e dei poveri) è sempre consistita nell’essere al centro di atti e di processi senza avere su di essi alcun controllo. Qui Boaz non è solo un possibile e sperato goèl, è anche l’avvocato delle donne, di Rut e Noemi; come lo Spirito, che nei Vangeli è definito il paraclito, cioè riscattatore e avvocato. Questa azione di Boaz ci svela allora qualcosa dell’azione dello Spirito sulla terra: il paraclito è anche colui che difende le vittime “esposte” nelle piazze, è il “padre dei poveri”.

Non riusciamo più a capire, sulla base del testo, che tipo di diritto Noemi vantasse su quel campo del marito. Forse era una nuda proprietà, forse un usufrutto, forse altro. Ciò che conta è che esiste un un bene immobile su cui può essere esercitato il riscatto da parte di un parente. «Quegli rispose: “Lo riscatto io”» (4,4). La tensione del racconto si scioglie: il primo goèl sta facendo il suo dovere. Ma proprio qui arriva un nuovo colpo di scena: «E Boaz proseguì: “Quando acquisterai il campo da Noemi, tu dovrai acquistare anche Rut, la moabita, moglie del defunto, per mantenere il nome del defunto sulla sua eredità”» (4,5). Boaz, mostrando una creatività analoga a quella di Noemi, combinando gli istituti del goèl e del levirato, all’acquisto del terreno associa «l’acquisto» di Rut, specificando «la moabita», quindi straniera. Lo scenario cambia radicalmente. Ora non si tratta solo di valutare i costi e i benefici dell’acquisto del campo di Noemi, di calcolare la convenienza di un investimento immobiliare. Quel bene si porta con sé una moglie. L’economia del riscatto si complica: «Allora colui che aveva il diritto di riscatto rispose: “Non posso esercitare il diritto di riscatto, altrimenti danneggerei la mia stessa eredità. Subentra tu nel mio diritto. Io non posso davvero esercitare questo diritto di riscatto”» (4,6). L’informazione che a quel terreno era attaccata una donna fa cambiare idea al “tizio”, che rinuncia al diritto di riscatto a vantaggio di Boaz.

Quell’uomo ha fatto i suoi conti, ha valutato gli effetti di quel riscatto composto sulla sua eredità, e ha scelto. Ha fatto i suoi interessi, ha guardato ai costi e i benefici dell’affare. Come tanti, come molti uomini, quasi tutti.
Quando nei conti economici inseriamo le persone il calcolo della convenienza cambia radicalmente. Perché mentre per l’acquisto dei terreni e delle merci i costi e i benefici sono facili da calcolarsi, quando nei “contratti” entrano le persone i conti cambiano la loro natura. Gli uomini sono vivi e liberi, non riusciamo ad anticipare i costi e i benefici che ci porteranno. Gli uomini sono carne e cuore vivi, e le donne lo sono ancora di più, anche quando si ritrovano dentro economie e contratti che non hanno disegnato loro. E così da secoli facciamo di tutto per comprare terreni e non “comprare” Rut, per liberare le cose dal peso delle persone. E invece Boaz sa che il vero “affare” del suo riscatto è proprio Rut, è lei il vero bene e la vera benedizione arrivata nella sua vita.

L’economia di Boaz e l’economia di “tizio” continuano a vivere l’una accanto all’altra nelle nostre piazze e nelle nostre porte. L’economia di chi compra e vende beni, e vede i beni relazionali come complicazioni e come grane da evitare, e quindi sostituiscono le persone con le merci. L’economia di Boaz è quella di chi vede nelle persone la loro prima ricchezza, che vede prima le donne e gli uomini e poi i terreni, e sa che anche il più fertile terreno e il macchinario più produttivo non produce benessere senza almeno una Rut. Che capisce che se un contratto contiene una benedizione questa nascerà dalle persone. I terreni sono cose buone, sono beni; ma dai terreni non nascono la Divina Commedia, non nasce «Il canto notturno del pastore errante dell’Asia», non i balletti di Carla Fracci. Queste cose le sanno fare solo le persone.

L’economia di Boaz è quella che cresce riscattando i terreni abbandonati proprio a causa della presenza di Rut. È l’economia di chi vede benedizioni dentro le ferite, beni dentro mali, e che si nutre dei terreni scartati dagli altri perché considerati non convenienti a causa delle persone a essi associati. Ieri, e oggi quando una vera e propria economia alternativa vive e cresce perché è capace di vedere negli scarti degli altri un valore, e capire che le Rut sono benefici nascosti dentro l’involucro dei costi. Dentro le carceri, nelle terre delle mafie, nei luoghi del dolore, tra le spigolatrici migranti e stagionali dei campi di lavoro.

Il verbo che Boaz usa per dire “comprare” il campo e Rut è qanah. Qui il lettore antico della Bibbia avverte un brivido alla schiena, perché sa che questo è il nome di Caino: «Ho acquistato [qanah] un uomo da YHWH» (Gn 4,1). Caino fu anche il costruttore della prima città (Gn 4,17), e quindi sono sotto il suo nome le città e i loro commerci. È cainita la lavorazione dei metalli (4,22), quindi sono sotto il suo segno i mestieri e le arti. A dirci che l’economia di Caino è anche la nostra economia. Lo sappiamo, lo vediamo ogni giorno, è un’anima dei nostri mestieri e delle nostre arti. Non è fuori di noi, è dentro la nostra vita.
Ma il nome di Caino non è l’unico nome dell’economia, non è il suo destino necessario. L’economia di Caino può diventare l’economia di Boaz. Lo diventa tutte le volte che scegliamo di non separare i terreni dalle loro persone. E quando lo facciamo, in quel campo risorge Abele, il fratello fragile che sapeva fare i doni. E noi risorgiamo con lui. Per poi ritornare ancora nei campi con nostro fratello, e lì morire ancora, come tanti poveri, come Camara Fantamadi, morto di lavoro nel nostro campo, fratello di Rut, straniero e precario come lei. Finché un giorno, un benedetto e sempre tardivo giorno, un bambino vedrà sulla linea dell’orizzonte della nostra terra i fratelli ritornare insieme a casa.

l.bruni@lumsa.it

© Riproduzione riservata