Avevamo voglia di essere una famiglia aperta al mondo. Prima del matrimonio ci dicevamo come sarebbe stata la nostra casa. Non quante stanze, ma se sarebbe stata un luogo in cui incontrare il mondo. Quali criteri ci guidano quando compriamo il latte, dei jeans o un prodotto finanziario? Solo la convenienza? Volevamo essere cristiani anche al supermercato o dentro a una banca. Quando abbiamo dovuto scegliere la banca per il mutuo, abbiamo deciso di rivolgerci alla banca in cui uno di noi due aveva il conto personale. Prima però di portare lì i nostri soldi e di impegnarci per anni con loro, abbiamo chiesto, via lettera, se la banca commerciava armi. Dopo due mesi ci ha risposto per iscritto il direttore generale, dandoci le risposte che cercavamo» (S. e G.). Con queste parole è iniziata la testimonianza di una coppia, durante un raduno diocesano delle famiglie il cui tema generale era Famiglia con stile, stile di famiglia. A volte, di fronte a chi ci sembra “stia facendo sul serio” reagiamo, come forse è accaduto a più di qualcuno dopo aver ascoltato le parole di questa coppia, pensando: “ero venuto a rilassarmi un po’, a tirare una boccata d’aria, e invece mi parlate di queste cose così impegnative… ho già troppe cose a cui pensare, e poi queste questioni sono troppo complicate”. Sebbene le prime parole di questi due coniugi siano state percepite da molti come un pugno allo stomaco, hanno però sgombrato il campo da ogni possibile spiritualismo o familismo per la giornata che era appena iniziata. È sempre in agguato, infatti, la spinta a chiudersi, di fronte al peso della quotidianità della vita familiare: “io quando arrivo a casa, chiudo la porta, e lascio tutti i problemi fuori”. Sebbene queste parole esprimano l’attenzione di un coniuge/genitore a non portare in casa i pensieri del lavoro, l’altra faccia della medaglia potrebbe essere la visione della propria famiglia come spazio esclusivamente privato, alleggerito delle problematiche del mondo, ma anche privato di ogni rilievo sociale. È vero anche che tale spinta centripeta a rifugiarsi dentro le mura domestiche è motivata dal peso delle attese rivolte alla famiglia stessa da parte di varie agenzie educative e organizzazioni sociali. La società in cui ci troviamo è sempre più costituita da un mondo di mondi, in cui ogni realtà pensa se stessa come il riferimento principale della vita delle persone, occupando sempre più il loro tempo. Può accadere, ad esempio, che una società sportiva, a cui partecipa uno dei figli, occupi moltissime domeniche (intere!) con tornei e raduni: sì, si passa molto tempo insieme senza grossi pensieri, si creano molte relazioni tra famiglie, ma con il risultato, a lungo andare, di togliere respiro alle relazioni familiari stesse, che necessitano di tempi adeguati. Se la chiusura privatistica nella famiglia produce un individualismo a due (o più persone), anche l’essere continuamente altrove non permette il consolidamento delle relazioni familiari come un soggetto a se stante. Come si intuisce, secondo questa prospettiva la famiglia sarebbe un luogo da cui prendere, considerata come destinatario, quasi come semplice consumatore, cliente o utente: risorsa, sì, ma da sfruttare. In modo emblematico, durante i mesi del lockdown a inizio 2020, una signora ha detto: «la nostra casa è stata invasa. Arrivano continuamente video con spiegazioni e indicazioni. Tutti ci mandavano cose da fare: le scuole delle figlie, l’allenatore di basket, la parrocchia». È inevitabile che, di fronte alle attese e alle richieste dei mondi in cui sono inseritim i vari membri di una famiglia, si possa reagire chiudendosi in casa. Inoltre, le attese sul compito genitoriale proveniente da varie istituzioni e dal contesto generale (“è sempre colpa dei genitori”), cui si sommano le esigenze della relazione di coppia, che necessita continua cura, portano a reagire in questo mondo. Anche la voglia di scappare di casa, che sembrerebbe andare in direzione opposta, ha la medesima radice: ho bisogno di prendere un po’ d’aria, “la casa, il lavoro, i figli, la relazione di coppia, mi sento tutti con il fiato sul collo, mi manca l’aria”.
E’ inevitabile, allora, che una famiglia si possa pensare essa stessa come soggetto che prende ma che non ha niente da dare. Di conseguenza , non avrebbe senso chiedere maggiori tutele da parte dello Stato o attenzioni dalle amministrazioni locali, lasciando lo spazio soltanto per una logica assistenziale che consideri le famiglie come un problema da affrontare alla stregua di altri.
L’esortazione sull’amore in famiglia di papa Francesco mette in guardia dal pericolo dell’individualismo familiare: “La famiglia non deve pensare a sé stessa come un recinto chiamato a proteggersi dalla società” (AL 181), pene il trovarsi in un circolo vizioso che esaurisce le energie della famiglia stessa. Secondo tale prospettiva, non è il toglierci dal mondo che dà respiro alla coppia e alla famiglia, ma l’aprire porta e finestre, che può dare aria e nuova luce, invita a fare spazio, e afferma che «il segreto di una famiglia felice» (AL 183) è «quello che ci viene chiesto in modo tanto eloquente in questo testo: “Quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato” (Lc 14,12-14)».
A proposito della posizione della propria famiglia rispetto al mondo, un papà si è chiesto: «Mia moglie e io ci domandiamo: cosa respirano da noi i nostri figli? Quando siamo a tavola la sera tutti insieme, facciamo entrare il mondo?». Questo interrogativo manifesta la consapevolezza che «tutto nel mondo è intimamente connesso» (LS 16), per cui in ciò che succede nel mondo ne va di noi, della nostra famiglia. E viceversa, qui a casa, nel modo in cui parliamo tra di noi, in cui ci rispettiamo, valorizziamo le singolarità, affrontiamo insieme gli imprevisti, si gioca il nostro modo di essere nel mondo. Così in un bel passo di Laudato si’: «Contro la cosiddetta cultura della morte, la famiglia costituisce la sede della cultura della vita. Nella famiglia si coltivano le prime abitudini di amore e cura per la vita, come per esempio l’uso corretto delle cose, l’ordine e la pulizia, il rispetto per l’ecosistema locale e la protezione di tutte le creature. La famiglia è il luogo della formazione integrale, dove si dispiegano i diversi aspetti, intimamente relazionati tra loro, della maturazione personale» (LS 213).
Come testimoniato da molte famiglie, succede che quando i coniugi acquisiscono «una chiara e convinta consapevolezza riguardo ai loro doveri sociali, l’affetto che li unisce non viene meno, ma si riempie di nuova luce» (AL 181). Ogni coppia oggi, infatti, è chiamata a essere consapevole del rilievo sociale e culturale della scelta di sposarsi, una vera e propria sfida lanciata al mondo contemporaneo, come hanno messo in evidenza i coniugi C. Giaccardi – M. Magatti: «Ciò che non si è riusciti a trasmettere (la Chiesa in primis) è l’idea che creare una famiglia sta proprio nel cominciare una (letterale) avventura, dove si decide di correre il rischio della vita insieme anziché da soli». Al clima culturale in cui siamo immersi, segnato dall’individualismo come posizione di vita, la scelta di fare famiglia ha in sé una portata decisiva.
Infatti, «non basta che ognuno sia migliore per risolvere una situazione tanto complessa come quella che affronta il mondo attuale. I singoli individui possono perdere la capacità e la libertà di vincere la logica della ragione strumentale e finiscono per soccombere a un consumismo senza etica e senza senso sociale e ambientale. Ai problemi sociali si risponde con reti comunitarie, non con la mera somma di beni individuali» (LS 219). In questa prospettiva, le famiglie offrono un contributo imprescindibile, dal momento che oggi la ricerca di senso e di pienezza «non è mai solo privata, ma coinvolge sempre altri, direttamente o indirettamente» (Giaccardi-Magatti).
Come ama ripetere Gianluigi De Palo, presidente del Forum Nazionale delle Associazioni familiari, «la famiglia non è il problema ma la soluzione del problema».
La casa comune
La conversione cristiana esige di riconsiderare «specialmente tutto ciò che concerne l’ordine sociale ed il conseguimento del bene comune» (Evangelii gaudium 182): anche la radicalità della scelta di vivere l’amore secondo la prospettiva cristiana, cioè nel sacramento del matrimonio fedele e indissolubile, si inserisce in questa «azione trasformatrice», dal momento che «tutti i cristiani sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore» (EG 183). In modo specifico, la fecondità stessa dell’amore vissuto da una coppia di sposi li conduce «a sanare le ferite degli abbandonati, a instaurare la cultura dell’incontro, a lottare per la giustizia. Dio ha affidato alla famiglia il progetto di rendere “domestico” il mondo, affinché tutti giungano a sentire ogni essere umano come un fratello» (AL 183). Da queste parole emerge in modo chiaro che nell’orizzonte della ministerialità dei coniugi è presente anche la costruzione del bene comune, realtà più ampia dell’insieme dei beni individuali: tale cura per il bene comune è anche l’humus che custodisce la famiglia dalla privatizzazione e, quindi, dalla sua insignificanza. Come ha ben messo in luce Laudato si’, tutto è collegato, dalla cura per l’ambiente all’impegno a vivere insieme: «La cura per la natura è parte di uno stile di vita che implica capacità di vivere insieme e di comunione» (LS 228). Tale cultura della vita condivisa e del rispetto per quanto ci circonda è appreso in famiglia, dove si «impara a chiedere permesso senza prepotenza, a dire “grazie” come espressione di sentito apprezzamento per le cose che riceviamo, a dominare l’aggressività o l’avidità, e a chiedere scusa quando facciamo qualcosa di male» (LS 213).
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