Nel rapporto con le donne, i maschi di oggi si trovano stretti tra due diversi timori: la paura di castrazione (cioè di svalorizzazione e di critica distruttiva) e quella di abbandono. I motivi sono diversi. Da un lato c’è un forte aumento della fragilità narcisistica maschile, legata alla mancanza di padri: troppi bambini vengono cresciuti secondo un codice prevalentemente femminile, con padri poco presenti o poco capaci di amare ed educare secondo un codice maschile. Dall’altro lato c’è l’affermarsi di un modello femminile sempre più onnipotente: donne che appaiono molto sicure di sé, molto esigenti, poco disposte a regalare ai loro uomini la pazienza e l’accoglienza che riservano invece ai loro figli, soprattutto maschi.
Tutto questo porta con crescente frequenza allo sviluppo nei maschi di difese fortemente disfunzionali: la prepotenza da un lato e l’impotenza dall’altro. Si tratta di atteggiamenti opposti, che segnano entrambi una mascolinità infantile: nell’impotenza, il maschio usa una modalità infantile-passiva, nella quale esibisce alla donna la sua vulnerabilità, secondo un modello vittimistico (depressivo, fragile, bisognoso) che fa appello alla sua componente materna di accoglienza. Nella prepotenza l’uomo utilizza invece una modalità infantile-aggressiva, che cerca di superare le proprie insicurezze attraverso il controllo e la soggezione dell’altro. In entrambi i casi il maschio si mostra prigioniero di un’idea infantile della relazione, e il rapporto con lui è deludente: il suo non è uno sguardo che riempie, ma uno sguardo che pretende, che prende e che svuota.
Questi uomini-figli si muovono in una dimensione dimostrativa, segno di un basso senso di autostima: se non ci sentiamo sicuri di noi stessi abbiamo un bisogno eccessivo dell’approvazione degli altri sul nostro essere e sul nostro operare. Un buon accordo con il nostro desiderio ci rende invece capaci di “affermare”, parola che indica la capacità e il piacere di dare alle cose una forma corrispondente al nostro pensiero: noi affermiamo ciò in cui crediamo, sufficientemente liberi dal vincolo del giudizio degli altri.
La maturazione piena del maschile richiede all’uomo di accedere alla dimensione simbolica della paternità: il passaggio dalla centratura narcisistica sul sé, all’idea che la vita prende valore nella misura in cui si è capaci di spenderla per la crescita di buoni frutti: figli, progetti, idee che arricchiranno non tanto chi li ha generati, ma il mondo in cui li generiamo.
Chi crede in un mascolinità di questo tipo non ha bisogno di dimostrarla: semplicemente la vive, consapevole del suo valore e della sua bellezza. Non ha bisogno di fare la voce grossa.
Io credo che gli uomini di oggi abbiano bisogno di riscoprire la bellezza di essere maschi e il coraggio di diventare padri, la bellezza di sentirsi capaci di dare vita e di aprire la strada al futuro. Ma è dentro se stessi che devono trovare il coraggio necessario: non possono aspettarsi di venire legittimati dalle donne. La vera conferma del valore di un uomo è in linea maschile, e nasce dal confronto con se stesso e con gli altri maschi. Anche se la sua esperienza di vita lo ha portato a sentirsi fragile, un uomo non dovrebbe mai scoraggiarsi; in qualunque punto del suo percorso si trovi può sempre ripartire alla ricerca di sé: scoprirà allora la passione che nasce dall’avere molto da dare.
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