Ci sono situazioni o relazioni che sembrano agire sulle nostre emozioni in un modo particolare: qualcosa ci colpisce fuori misura o ci fa arrabbiare in modo irragionevole; un episodio che sembra marginale continua a tornarci alla mente e non riusciamo a toglierlo dai nostri pensieri. Continuiamo a pensare a ciò che è successo, a come abbiamo reagito; avvertiamo la compagnia fastidiosa di emozioni che alla ragione sembrano sproporzionate: quanto accaduto non merita quella dispersione di energia che non riusciamo a evitare.
Ci sono anche relazioni che ci risultano più difficili di altre, ad esempio con un figlio in particolare: sentiamo che non si tratta solo di lui e del suo comportamento, ma che c’è qualcosa in noi che rende faticoso il rapporto. E che dire della coppia? Perché, pur amando l’altra persona, ci sono modalità che scatenano in noi una reazione che a posteriori riteniamo eccessiva? In tutti questi casi, è come se le emozioni attivate dall’esperienza non funzionassero in modo adeguato: ci sono delle interferenze, qualcosa che ci toglie lucidità, come se quell’emozione si amplificasse in noi in modo disturbante.
E in effetti è proprio così: quando questo accade, significa che abbiamo incontrato un punto personale di vulnerabilità; la frase dell’altro o le sue modalità relazionali attivano emozioni che non riguardano solo la nostra realtà di adulti, ma agganciano qualcosa che riguarda il passato: qualcosa che ci ha messo in difficoltà e che è rimasto vivo dentro di noi come una piccola o grande ferita. Scivoliamo allora inconsciamente in una dimensione diversa dal presente: una dimensione interiore senza tempo, in cui non siamo completamente adulti; l’esperienza attuale perde in parte le dimensioni reali e produce risonanze che solo noi possiamo percepire. Ciò che accade ci trova sguarniti, ci sollecita emotivamente e ci rende meno capaci di far fronte agli eventi in modo “oggettivo”; da questa posizione proiettiamo sull’altro qualcosa che non lo riguarda mai completamente: immagini e vissuti legati alla nostra storia, che l’altro ha involontariamente riattivato.
È un po’ come lasciar cadere un oggetto su una superficie sottile: il rumore sarà diverso se sotto la superficie c’è uno spazio cavo, e sarà tanto più intenso quanto più ampio è quello spazio nascosto. Ogni volta che qualcosa ci disturba “troppo”, che ci tormentiamo “per niente”, o che non riusciamo a gestire bene alcuni aspetti delle nostre relazioni che in altre condizioni sapremmo come gestire, dobbiamo perciò fare l’ipotesi di essere entrati in un’area personale di risonanza e dunque di vulnerabilità; capire cosa ci sta succedendo è il primo, essenziale passo per superare l’impasse.
Non esistono storie totalmente prive di fatiche o sofferenze, e tutti passiamo attraverso piccole o grandi delusioni; talvolta si tratta di delusioni che, rilette con lo sguardo adulto, ci appaiono di poca importanza, ma che si sono sedimentate nell’inconscio con il marchio dell’esperienza infantile, amplificate da una sensibilità e da un pensiero ancora incapaci di leggere l’oggettività di ciò che accade.
Quando il presente aggancia il passato, aggancia proprio le tracce di queste antiche emozioni con la loro intensità: quell’intensità particolare che solo le emozioni infantili riescono ad avere. Liberare il presente dal passato può dare inizio a una libertà nuova, che ci permette di fare scelte più libere dai condizionamenti della nostra storia.
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