IL SANGUE DELLA PASSIFLORA

di Andreina Sirena ed Lanieri 7 luglio 2023

Trama del libro

I sublimi vertici dell’arte, le mille mutevoli meraviglie della natura, le profondità oniriche della musica e la riscoperta di un’antica e rassicurante eredità culturale accompagnano Armida, apprezzata guida del grande museo cittadino, in un viaggio interiore intessuto di dolore e speranza, di abissi emotivi e inattese rinascite. Due uomini: Tommaso prima e Lorenzo poi, la coinvolgeranno in dimensioni affettive antitetiche, mondi fisicamente e psicologicamente distanti, in cui amare ed essere riamata finiscono per assumere significati contraddittori. Li accomuna invece lo strazio lacerante del distacco e dell’abbandono che Armida toccherà più volte, restituito e quasi amplificato dalle sculture, dai quadri, dalle architetture, dai suoni, dalla natura con cui la protagonista stringe un rapporto indissolubile.

e articolo di Gianni Oliva  da Avvenire 26 agosto 2023

Disagio e bellezza, Andreina Sirena e il suo messaggio di crescita interiore

I tre personaggi principali di Il sangue della passiflora (Ianieri, pagine 257, euro 18), Armida, guida di un museo, Tommaso, un tenore e Lorenzo, un ragazzo di campagna, sembrano non avere nulla in comune se non la passione che vitalizza il loro vivere rendendolo credibile e unico. Di qui la passiflora del titolo, una pianta che per antica consuetudine sembra nascondere i simboli religiosi della passione di Cristo (i viticci indicano la frusta, i tre stili i chiodi, gli stami il martello, la corolla la corona di spine). L’autrice, Andreina Sirena, non è nuova a prove di questo genere, ma qui mette in mostra la sua spiccata capacità di rappresentare il mondo e di percepire l’arte, sia figurativa, sia musicale, nella sua essenza. La densa capacità descrittiva, attenta alla specie e al dettaglio, la porta a superare la piattaforma naturalistica per proporre una sorta di poema moderno in cui sono superate le linee cronologiche degli eventi a vantaggio del capovolgimento dei piani del racconto. Ne consegue una scrittura trasognata, quasi sospesa, il cui andamento onirico permette l’alternanza delle stagioni, in avanti e indietro (la rievocazione del passato spesso diventa dominante sul presente).

«L’arte è lo sforzo di competere con la bellezza dei fiori e non riuscirci mai», diceva Chagall, ma l’autrice del romanzo sembra sfidare la sorte quando sfoggia il suo simbolismo estetizzante. La stessa copertina del libro propone un particolare delle Rose di Eliogabalo di Alma Tadema, che in qualche modo strizza l’occhio a quella «civiltà favolosa circondata di una vita perduta» già cara a D’Annunzio e a una certa educazione «dannunziana» della stessa scrittrice maturata negli anni e qui esibita in modo delicato e persuasivo. È in primo piano quindi la sua passion flowers, per ricordare il titolo di un fortunato brano dei Fraternity brothers (1957) ispirato non a caso alla melodia di Per Elisa (o forse meglio Per Therese), la garbata composizione per pianoforte di Beethoven ( passion flowers of my heart and of my dream).

Il personaggio di Armida, si diceva, che a stento nasconde tracce autobiografiche, è una guida di museo dotata di ottime e coinvolgenti doti ermeneutiche. D’altro canto Tommaso, di cui Armida si innamora, è un musicista raffinato che vive di musica e nella musica. Per lui «ogni dettaglio era un’impressione della vita intima e i colori manifestavano la loro musicalità, il loro ritmo». C’è un’identità pressoché assoluta tra Armida e Tommaso, le loro esistenze sono intrecciate a tal punto che tutte le cose del mondo contenevano una cellula ritmica da scoprire, la stessa città era una «stratificazione di suoni».

Quelli più interessanti però provengono dalla natura. Lorenzo, ha trovato infatti la chiave della propria esistenza lontano dai clamori e dai rumori, pago delle stagioni che si susseguono, felice dei fiori che sbocciano e delle foglie che cadono. La passione, dunque, è il motore indispensabile, l’elemento creativo che permette confidenza con la bellezza, madre di ogni cosa, che ha non facile sopravvivenza in una società fondata sull’utile a ogni costo. La dimensione della bellezza, avvertiva D’Annunzio, non è un pellegrinaggio nel disimpegno e nell’evasione, ma uno strumento che ha il compito di penetrare nelle fibre più intime del sociale e delle istituzioni.

In fin dei conti il proposito ultimo del romanzo sembra essere quello di chiedersi se può esserci una via d’uscita per la società post-industriale che inneggia al consumismo, al denaro e alla produttività. I mali della società contemporanea, l’infelicità, il cinismo esasperato, l’individualismo dilagante possono essere sconfitti? L’arte e la bellezza sono il messaggio utopistico gridato con forza, che aiuta una crescita interiore che permette all’individuo di recuperare valori trascurati o opacizzati, magari anche in nome dell’istruzione e della cultura. Francesco De Sanctis lo ribadiva in tempi lontani ai suoi giovani futuri ingegneri del Politecnico di Zurigo parlando loro niente meno che di Dante: «siate uomini prima che ingegneri».

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