La speranza abita ogni luogo di convivenza

di Luca Mazzinghi da Gutenberg Avvenire del 18 ottobre 2024

Chi ha costruito la prima città del mondo?

La risposta della Bibbia è al riguardo sorprendente: un discendente di Caino! Secondo Genesi 4,17 è infatti Enoc, discendente del primo omicida dell’umanità, a costruire la prima città della storia. Si tratta di un racconto simbolico, che tradisce però un giudizio negativo sulla città vista come luogo di violenza, che è poi il cuore del peccato di Caino.

Questa breve notizia biblica ci impedisce di avere della città una visione irenica e ingenua. La città acquista infatti un risvolto negativo, persino violento che il racconto biblico lega poco più avanti alla fondazione di Babilonia, la città nemica di Israele (Genesi 10,10). Non è un caso che in Genesi 11,1-9 troviamo il celebre episodio della torre di Babele, dietro al quale c’è una diretta polemica contro il potere di Babilonia che vuole creare un solo impero. Con la torre che raggiunge il cielo, immagine delle costruzioni chiamate a Babilonia ziqquarat, vuole dominare anche su Dio. Questo racconto ci ricorda come ogni città possa sin troppo facilmente diventare il luogo del dominio dell’essere umano sull’altro, il luogo dove la diversità viene negata in nome di un’uniformità imposta dall’alto: una sola città, una sola torre, un solo progetto (“un solo labbro”); Ogni potere umano può diventare troppo facilmente “babelico”.

L’aspetto negativo della città è frequentissimo poi nei profeti: «Come mai la città fedele è diventata una prostituta?», si chiede Isaia (1,21-26). La città fedele, cioè Gerusalemme, ama l’ingiustizia e insegue la corruzione. I capi politici e religiosi cercano solo il denaro e non si curano dei più deboli, di coloro che non hanno diritti. Le invettive di Geremia verso la città di Gerusalemme sono ancora più violente: la sua sorte sarà la rovina (Ger 4,26-29; 19,8.11.15). I profeti ci ricordano che anche la città scelta da Dio, la città santa di Gerusalemme, può così diventare un’altra Babele, una “città di sangue”, come scrive Ezechiele (22,2).

Nella visione dei profeti esiste tuttavia la speranza che Gerusalemme possa diventare qualcosa di ben diverso: la celebre profezia di Isaia (Is 2,1-5) la vede come posta su un monte che diviene altissimo e verso il quale tutti i popoli della terra confluiscono, in vista di una pace universale: «non si eserciteranno più nell’arte della guerra». Il libro del profeta Ezechiele si chiude ricordando quale sarà il nuovo nome di questa Gerusalemme ideale: «il Signore è la» (Ez 48,35). Il Signore è dunque là dove gli esseri umani vivono, si incontra con le loro gioie e i loro dolori, con il loro lavoro quotidiano e con la loro preghiera. Com’è il ruolo del tempio in questa Gerusalemme sognata da Ezechiele nei capitoli 40-48 così dovrebbe essere la comunità cristiana nelle nostre città. Essa si trova là, profondamente immersa nel cuore della città degli uomini, ma a questa città essa porta la presenza del suo Signore.

Gerusalemme diviene così una città reale e ideale insieme, la meta verso cui l’israelita cammina e, con lui, ogni credente nel Dio biblico. Nel Salterio esiste un’intera raccolta di salmi (120134), i “salmi delle salite”, scritti come preghiere del pellegrino che sale appunto verso la città santa: «Gerusalemme è costruita come città salda e compatta» (Sal 122,4). Nel breve e denso Sal 87 Gerusalemme diviene addirittura madre di tutti i popoli, città inclusiva modello per ogni altra città.

Parlando della città nell’Antico Testamento dobbiamo ricordare anche Ninive, capitale dell’impero assiro, l’arcinemica di Israele; si pensi al libro del profeta Naum, una cruda invettiva contro questa città. Proprio a Ninive, “la grande città”, viene mandato Giona, il protagonista del libro omonimo.

Con sua grande sorpresa i cattivissimi Niniviti si convertono. La grande città di oggi non è più la Ninive di Giona.

Molti non sentono più neppure l’appartenenza alla loro città: una città vale l’altra; si pensi al fenomeno dell’immigrazione. Una grande città ormai frammentata, spesso difficile da capire, anche se non mancano segni di speranza.

Una tale città è ancora luogo di salvezza? La città è un luogo che nasce dalla convivenza tra gli esseri umani; e in quanto tale non può essere abbandonata da Dio.

Come Giona la Chiesa è chiamata a essere nella città e per la città segno della conversione a cui Dio ci chiama, sapendo che l’ultima parola di Dio è la misericordia.

Il libro di Giona si chiude con una domanda, caso unico nella Scrittura, rivolta da Dio a coloro che si credono giusti, come Giona: «non dovevo io aver misericordia…?», sia degli esseri umani che degli animali che abitano la grande città. Ma la domanda posta dal Signore a Giona resta senza risposta perché il narratore invita ogni ascoltatore di questa storia a dare la propria risposta: Giona avrà fiducia nella bontà di Dio, oppure la rifiuterà?

Non lo sappiamo, né lo sapremo mai. Ma è il profeta che deve convertirsi per primo! La “grande città” lo ha già fatto prima di lui.

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