La vita non è un’idea ma è il nome di tutti

di Riccardo Mensuali da Giornata per la vIta suppl Avvenire 26 gennaio 2025

«La speranza ha bisogno di cristiani che non si girino dall’altra parte»

ha detto Francesco nella Messa per la recente Giornata mondiale dei poveri. Aggiungeva: «C’è bisogno di una “mistica dagli occhi aperti”, non di una spiritualità che fugga dal mondo». Per riflettere sul legame che il Papa instaura tra la virtù cristiana della speranza e la vita è necessario partire da qua: dal verificare quanto – e se – la vita abbia valore agli occhi di chi la guarda. Non la vita come concetto astratto ma la vita di quella persona, la mia, la nostra. La vita di ciascuno. E se di valore non ne ha alcuno, o poco, è esattamente a questo punto che il cristianesimo entra in campo e fa la differenza: assumere lo sguardo di Dio sulla vita umana.

Nell’ormai lungo magistero del Papa, possiamo scorgerne un perno saldo e forte intorno a cui tutto gira, se parliamo di “vita”: la persona e i suoi talenti. In Francesco è chiaro che la parola “vita” non rimanda a un’idea, seppur la più nobile a alta, o a un puro valore, seppure supremo, da difendere in una strenua battaglia delle visioni, delle ideologie. La vita è sempre quella lì, quella che appartiene alla persona e che implica l’emersione della bellezza dell’“immagine e somiglianza” divine, deturpate dall’ingiustizia del male, dal peccato. Per questo, nella visione del Papa, sono fondamentali tutti quei termini che alludono e rimandano a un movimento dal basso verso l’alto, a una crescita, a una erosione del male da parte del bene: discernimento, ricominciare, vita nuova, conversione, educazione, amore per i poveri e cura del creato, lotta contro il male. C’è sempre una tensione nel magistero del Papa, ed è quella tutta biblica ed evangelica della battaglia in favore del bene. Un bene che sono innanzitutto l’uomo e la donna concreti, che vivono e incontriamo oggi. Nella Pasqua del 2021 il Papa predicava così: «È possibile ricominciare sempre, perché sempre c’è una vita nuova che Dio è capace di far ripartire al di là di tutti i nostri fallimenti. Anche dalle macerie del nostro cuore Dio può costruire un’opera d’arte». Da qui anche la totale opposizione alla pena di morte: nessuna colpa sarà mai più grande della misericordia divina, che ci chiama a offrire a tutti la possibilità di una vita migliore. La sua profezia è quella di metterci sotto gli occhi, a volte di imporcelo, quanto sia deturpata e avvilita la vita delle persone: i più deboli, gli immigrati, i giovani, i carcerati, i vecchi, chi fugge dalle guerre, i non ancora nati, così come la nostra vita personale quand’è in balia del peccato e del cieco egoismo. Perché solo da un cuore colpito e inquieto nasce la passione per ritessere la vita lacerata, per restituire la bellezza primigenia, nascosta sotto il fango e la ferita del male. Francesco ha incontrato ostilità su due temi specifici: accoglienza agli immigrati e trasmissione generosa della vita. Un tempo, prima di lui, esisteva una caduca distinzione, ormai abbandonata: l’immigrazione era problema sociale e politico, fare figli invece era morale. La visione di Francesco spiazza tutti e rimette al centro la persona, la singola storia personale. Non accogliere un nuovo europeo, con fantasia e creatività di soluzioni nuove, è rifiutare la vita tanto quanto preferire una sterile e sazia solitudine alla vita festosa circondata di figli a cui dare un futuro. Sono entrambe strade per negare la vita, non in astratto: per negare quella vita precisa che vuole nascere, quella che bussa e domanda accoglienza.

Quella di Francesco è la stessa missione del profeta: inquietare e indicare la battaglia per il bene. Con la certezza – questa è la speranza cristiana – che Gesù Cristo ha già vinto il male, la morte, e ha sconfitto il tentatore. A noi rimane come proseguire nella lotta. Solo questa speranza – virtù cristiana – può essere fonte di gioia, di entusiasmo creativo, e non di pie illusioni o mondane utopie. La virtù cristiana della speranza è qualcosa di molto diverso da un pur legittimo e buon auspicio. Lo ha spiegato Francesco nel 2020: «“Cristo, mia speranza, è risorto!” Non si tratta di una formula magica, che faccia svanire i problemi. No, la risurrezione di Cristo non è questo. È invece la vittoria dell’amore sulla radice del male, una vittoria che non “scavalca” la sofferenza e la morte, ma le attraversa aprendo una strada nell’abisso». È questa speranza che getta una luce diversa sopra ogni aspirazione umana. La speranza cristiana lavora per realizzare le speranze umane, che altrimenti rimarrebbero miraggi.

Auspicare di invecchiare senza ammalarsi è desiderio umano e legittimo. La speranza cristiana, però, è la sola che dia senso anche alla ma-lattia e alla fragilità, trasformandole in occasione di conversione, per chi le vive e per chi se ne prende cura. Senza speranza, la fragilità diventa una maledizione, la malattia un tunnel buio, la povertà una triste somma di ingiustizie insormontabili. Anche auspicare che una persona che viene da un altro continente possa, in modo scontato e automatico, entrare in idilliaci rapporti con i nostri anziani, è bell’auspicio: invece bisogna integrare, aiutare la relazione, l’incontro, il reciproco conoscersi. «La speranza ha bisogno di cristiani che non si girino dall’altra parte». E verso dove rivolgono lo sguardo quelli che si girano “dall’altra parte”? Verso un’inerte inedia, umana pigrizia o totale disillusione. Di certo non verso la vita, per generarla, curarla, amarla Caso mai verso le cose, il virtuale, o anche verso nulla, perché gli occhi non si posano se siamo di corsa, affannati o ansiosi. Lo sguardo della speranza cristiana è lo stesso del seminatore che guarda e cura il piccolo seme piantato. È per questo che Francesco chiama pazienza e speranza virtù “gemelle”, perché solo chi crede nei frutti che oggi non vede trova la forza e la passione per sognare che spuntino. «Guardare al futuro con speranza – scrive il Papa nell’indire il Giubileo – equivale ad avere una visione della vita carica di entusiasmo da trasmettere». Di entusiasmo, in giro, se ne avverte poco. Per questo, ci auguriamo un Giubileo che lo accenda, insieme alla voglia di creare, accogliere e curare la vita.

Pontificia Accademia per la Vita

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