Ciara Greene e Gillian Murphy dimostrano che «una buona e sana memoria deve essere in grado di decidere di dimenticarsi cose non importanti»
Quando Hillary Clinton raccontò, durante la campagna elettorale presidenziale del 2008, il suo viaggio in Bosnia del marzo 1996, commise molti errori. Spiegò di essere atterrata sotto i colpi dei cecchini, prima di correre a rifugiarsi dentro le auto blindate, mentre, in realtà, i video della giornata la mostravano sorridente, mentre parlava con i soldati, riceveva un mazzo di fiori e abbracciava una bambina. La stampa americana accusò subito la politica americana di mentire, per migliorare le sue possibilità di arrivare alla Casa Bianca, ma, secondo Ciara Greene e Gillian Murphy, autrici di Memory Lane. I modi perfettamente imperfetti nei quali ricordiamo, appena pubblicato dalla Princeton University Press, è molto probabile che Hillary Clinton ricordasse male e che avesse confuso altri episodi, nei quali si era trovata in situazioni di rischio, con la visita in Bosnia. È uno dei tanti esempi di come funziona la nostra memoria che, come una torre fatta di Lego, ricostruisce in continuazione gli avvenimenti della nostra vita. Proprio a questo tema è dedicato il volume scritto a quattro mani dalle due esperte, docenti di psicologia a University College di Dublino e University College di Cork.
Memory Lane ripete più volte il messaggio che la nostra memoria non è sempre affidabile ma trasforma in continuazione il passato ed è proprio questa sua natura così flessibile che la rende indispensabile per la nostra sopravvivenza. Perché dimenticare è così importante, professoressa Greene?
«Tendiamo a pensare che è sempre meglio ricordare e ricordare con precisione ma non è affatto così. Una buona e sana memoria deve essere in grado di dimenticare e decidere di dimenticare cose non importanti. Una memoria perfetta che ricorda, per esempio, ogni particolare di ogni passaggio della nostra routine del mattino, dalla doccia alla colazione, al viaggio in ufficio, sarebbe uno spreco terribile di risorse cognitive. Ci sono persone che hanno questo tipo di memoria e si trovano in difficoltà perché non riescono a vivere. Anche per la salute mentale dimenticare è indispensabile. Chi si ricorda quella lite col fratello più piccolo, durante l’infanzia, e non riesce a perdonarlo rovinando i rapporti famigliari per sempre e rimane fermo nel passato. Chi non riesce a superare il lutto per la perdita del marito o della moglie si allontana dalla vita e diversi studi dimostrano che, per un buon matrimonio, dimenticare è fondamentale per la sopravvivenza del rapporto. La psicologia ci conferma, inoltre, che ricordarsi, in continuazione, di esperienze negative provocano depressione».
Quindi ci dimentichiamo moltissimo?
«Sì. Ed è importante accettare questo fatto. Non solista. Il modo in cui ricordiamo cambia in modo imprevedibile. Tendiamo a ricordare noi stessi come più gentili e più generosi o più lavoratori di quanto siamo stati veramente e gli eventi più positivi rimangono più impressioni, nella nostra immaginazione, rispetto a quelli più negativi perché, in questo modo, preserviamo la nostra salute mentale. Il problema è che abbiamo aspettative non realistiche, rispetto a quello che la nostra memoria può fare, e vogliamo che la nostra mente funzioni registrando tutto, come una videocamera.
Poiché siamo umani siamo più duri con gli altri, rispetto a noi stessi, quando qualcuno si dimentica qualcosa e, spesso, pensa che quella persona sta mentendo mentre non è vero e crede veramente quello che sta dicendo. Uno dei messaggi più importanti del nostro libro è l’invito ad essere più generosi e ad avere comprensione per le dimenticanze nostre e degli altri.
Certo non ricordarsi di qualcosa può essere un segno di demenza o di Alzheimer, ma esiste un’enorme quantità di memoria fallibile, molto positiva perché indispensabile per la nostra sopravvivenza. È importante che non ci preoccupiamo se ci dimentichiamo il nome di qualcuno o qualcosa che dobbiamo fare il giorno dopo perché è normalissimo».
Può spiegare in che modo, come dite nel libro, «la memoria ci aiuta a mantenere la nostra identità, avere una vita sociale e immaginare il futuro»?
«Tendiamo a ricordare di più quello che promuove una coerente immagine di noi stessi e una buona immagine di noi dentro ai gruppi sociali ai quali apparteniamo perché la nostra vita in comunità è essenziale per la nostra sopravvivenza. I processi mentali che promuovono l’immaginazione sono gli stessi che promuovono il fatto di ricordare. Per esempio la capacità mentale che ci consente di ripensare all’ultima volta nella quale siamo andati al supermercato è la stessa che ci permette di immaginare il futuro, quando andremo di nuovo a fare la spesa, quali cibi compreremo, a che ora finiremo, e si tratta di una competenza molto importante per noi, che ci rende la vita più piacevole e ci consente, anche, di sopravvivere. Esiste anche un aspetto creativo dell’immaginazione come anticipare una conversazione difficile e pensare a come dirigerla a nostro vantaggio, scegliendo le domande che ci consentiranno di evitare uno scontro ed è proprio questo attivismo della nostra mente, così positivo, che ci porta, a volte, a ricordare cose che non sono successo.
È un effetto collaterale del modo in cui la memoria funziona».
Che impatto hanno le fake news e la cattiva informazione sui nostri ricordi del passato e del presente? Leggere una notizia o un articolo che non sono accurati, dal punto di vista dei fatti, cambia i ricordi che abbiamo di eventi importanti?
« Essere esposto a fake news, deep fake e foto falsificate può alterare, in modo piuttosto drammatico, il nostro ricordo di un fatto. È importante sottolineare che non c’è nulla di speciale rispetto alla tecnologia e alla sua capacità di falsificare la realtà. La nostra memoria ricostruisce in continuazione quello che ci capita e viene influenzata dalle informazioni che riceviamo dall’ambiente nel quale viviamo. Quello che conta davvero è quale informazione il nostro cervello decide di trattenere non in che modo quell’informazione ci ha raggiunto. Diverse ricerche ci confermano che, anche se esiste disinformazione, la maggior parte delle informazioni che riceviamo sono corrette. È importante, in ogni caso, fermarsi e sviluppare una capacità critica nei confronti di quello che vediamo e ascoltiamo. È dimostrato, infatti, che tendiamo a credere a tutto quello che ci conferma nelle nostre convinzioni e nei nostri pregiudizi. Le persone che danno risposte veloci e intuitive sono più facilmente vittime di fake news rispetto alle persone che danno risposte più lente e più ragionate. Non dipende dalla nostra intelligenza ma dalla nostra personalità e da quanto siamo influenzati dalle emozioni rispetto alla ragione, da quanto siamo intuitivi anziché critici e analitici.
È importante incoraggiare la capacità critica, fin dai banchi di scuola, e tra gli utenti dei social network, magari diffondendo una notizia sui social network e, insieme ad essa, un punto di domanda sulla sua veridicità».
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