Prendendo spunto da un passaggio della prima lettura della VI domenica del tempo ordinario anno A
Davanti agli uomini stanno la vita e la morte; (Sir 15, 17a) – il bene e il male, la salute e la malattia – a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà. (Sir 15, 17b)
Daniela da alcuni anni ormai soffre di un disturbo cronico che le provoca un continuo dolore diffuso su tutto il corpo, e le impedisce una vita normale.
Le è stata diagnosticata una malattia autoimmune che si sta cercando di alleviare ma che ormai è entrata a far parte della sua vita, della nostra vita, della vita di tutta la famiglia, della vita nelle relazioni.
Veder cambiare così la propria vita è difficile, ed è altrettanto difficile ascoltare il passaggio del Siracide, e ci chiediamo ma chi è questo Dio che dispensa a seconda del suo desiderio, sarà dato ciò che a lui piacerà? Ma cosa ho fatto per meritarmi questo?
Cosa devo fare, devo forse pormi in un ottica di pia devozione e mettermi ad offrire le mie sofferenze al Signore? Ed ecco che subito nasce un’altra domanda: cosa se ne fa il Signore, il Dio della vita delle mie sofferenze?
Non sarà piuttosto il contrario, dove nel momento della sofferenza sono io che posso accogliere il Signore che si offre?
Abbiamo sperimentato in questo breve tratto della nostra vita segnato da malattie e lutti, che non siamo noi che dobbiamo offrire le nostre sofferenze al Signore, ma è nella sofferenza che il Signore ci chiede: lasciate che io mi offra a voi, per aiutarvi a vivere questo momento difficile, per aiutarvi a superarlo.
Nell’accogliere il Signore ci depotenziamo e prendiamo coscienza della nostra debolezza, condizione essenziale per un incontro libero, gratuito dove non c’è una sopraffazione dell’altro/a con la propria potenza, ma ci si pone al suo fianco. Debolezza come condizione essenziale di vera solidarietà perché permette di presentarci disarmati all’incontro con l’altro.
Come dice Luigi Pintor in Servabo, «non c’è in un’itera vita cosa più importante da fare che chinarti, perché un altro cingendoti il collo possa rialzarsi»
Daniela e Domenico