Rubrica mensile: SOTTO IL MELOGRANO
In questi giorni le foglie del melograno sono sempre più gialle e cadono per l’autunno inoltrato. Abbiamo raccolto i frutti, mangiato i semi e bevuto il succo: ora resta soltanto l’albero sempre più spoglio. In questo suo passaggio autunnale, vedo l’esperienza di tante coppie che portano frutto e ne condividono il dono, ma poi, in una o più occasioni, si ritrovano spoglie, prive di foglie e di frutti che hanno già dato, attraversando una pausa che magari le fa soffrire, ma che può nascondere il silenzio del riposo e del recupero di sé. Quanta paura dinanzi a certi silenzi tra marito e moglie; quanta sofferenza nel ritrovarsi con dei figli che sembrano non avere più bisogno di noi; quanta amarezza dopo aver dato tanto, tutto, e non sentire attorno a sé gratitudine e affetto. Questo tempo di crisi, come ogni altro, può essere accolto come tempo di semina e di gestazione, silenzio che permette un rigenerarsi per una nuova stagione. L’autunno delle relazioni e della vita di coppia può non essere l’annuncio di un freddo e buio inverno senza fine, ma l’inizio di una sosta che rinfranca, necessaria per altro, e non soltanto accidentale. Quel figlio che lascia soli i genitori, sicuramente chiede di essere accompagnato in un modo nuovo, ma offre a papà e mamma l’occasione di ritrovarsi, di creare nuovi modi per stare insieme, di recuperare un rapporto che magari si è allentato e li ha resi un po’ estranei. Quel donare che sembra non trovare accoglienza e smuove dentro di sé tristezza, può essere un invito a cercare la sorgente dell’amore vero, lì dove sgorga gratuitamente e gioiosamente.
Nei giorni scorsi ho guardato il melograno ingiallito del giardino insieme ad una giovane mamma, mentre mi raccontava il suo autunno. È sposata da alcuni anni e ha già due bambini. Ora è incinta di un terzo figlio, dono che le dà gioia e che vive con riconoscenza. C’è un’ombra, però, nel suo cuore, che si ripropone di tanto in tanto. È l’ombra della suocera. Il marito la cita spesso, ma in modo particolare quando lei non corrisponde alle sue attese. “Mia mamma ha tirato su cinque figli e non ha mai brontolato… Mi chiedi di aiutarti in un sacco di cose, ma io non ho mai visto mia mamma chiederle a mio papà…”. E poi la frase più tremenda: “Non riesci proprio a stirare le camice come lo faceva mia mamma”. È una suocera attenta, disponibile e molto corretta, ma che il marito le sta facendo andare di traverso, con i suoi riferimenti talvolta detti a sproposito. Si sente svalutata, ma soprattutto lasciata sola. Anche questa è un’esperienza di autunno. Lo è per lei, ma lo deve diventare anche per il marito. Nel parlarci abbiamo compreso che c’è del non detto da condividere, che ci sono delle pretese indebite da smascherare, ma soprattutto un dono da scoprire, da guardare nella sua originalità. C’è una fermezza interiore che lei deve trovare ed esprimere, imparando a riconoscere i doni che porta, rapportandosi con creatività e puntualità di gesti e di parole con il marito, affinché impari un nuovo modo di comunicare, lasci andare vecchi schemi di riferimento e accolga sua moglie così com’è e non come la vorrebbe. Il problema non consiste nella suocera, ma nella percezione che entrambi hanno di sé e dell’altro, ed è questa che è chiamata a maturare, perché possa crescere la verità reciproca. Nel salutarci abbiamo poi pregato il Salmo 139: “Signore, io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda”. Sono parole che questa donna è chiamata a coltivare nel cuore, a lasciare sedimentare, perché davvero lei è un dono. Parole con cui può dare voce al bambino che le sta crescendo nella pancia, cariche di meraviglia e di libertà.
don Silvano Trincanato