Ma per i giovani il primo enigma è Dio.
Il loro magmatico mondo interiore celato sotto una coltre spesso ingannevole
Ogni domenica Paola Bignardi ci sta conducendo ad avvicinare un mondo giovanile più chiacchierato che conosciuto, a partire dalle credenze che occorra abbandonare gli stereotipi con cui abitualmente si guarda e si giudica una generazione piena di risorse, che si sente lasciata ai margini, impossibilitata a offrire al mondo in cui si affaccia il proprio originale apporto. Gli articoli si avvalgono delle indagini dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo e del lungo ascolto che i suoi ricercatori hanno fatto e continuano a fare di decine di adolescenti e giovani con interviste individuali, focus group, rilevazioni statistiche. La ricerca cui si fa particolare riferimento è quella attualmente in corso di pubblicazione e dedicata ai giovani che si sono allontanati dalla Chiesa, in un ideale confronto con coloro che sono rimasti. È frutto di un attento ascolto, ed è, anche per il lettore, un invito a fare altrettanto. Le puntate precedenti di questo viaggio sono su Avvenire.it (tinyurl.com/2d3cvxp2).
Un viaggio nella nebbia: questa è l’immagine con cui alcuni giovani rappresentano la loro condizione esistenziale. L’idea della vita come un viaggio è comune a molti; un percorso che non si svolge nella luce chiara del mattino, ma in una condizione che richiama l’incertezza, l’oscurità, l’orizzonte breve di chi si sente avvolto dalla nebbia.
I giovani si fanno molte domande, oppure vivono nella condizione di disagio di chi si percepisce sospeso, in quell’incertezza di chi alle proprie inquietudini non riesce a dare parole né a dare un nome ai propri stati d’animo. Per molti gli interrogativi si presentano spesso più numerosi che in passato; nel contesto di oggi chi si pone domande ha l’impressione che a esse non vi siano risposte. La fede in passato ha offerto una visione complessiva della vita; l’allontanarsi di tanti da una prospettiva credente fa sì che le domande emergono con maggiore vigore, mentre non si hanno più a disposizione risposte condivise e convincenti.
E così, ciascuno deve fare i conti personalmente con gli interrogativi esistenziali di fondo: che senso ha la vita? Chi sono in questo universo infinito? Qual è il destino della mia esistenza? Perché il dolore colpisce gli innocenti? Qual è il senso di tutto?
Domande
Le principali domande che i giovani si fanno sono quelle che gli uomini e le donne pensosi, di tutti i tempi, si sono posti.
Ve n’è una immediata, che tocca ciascuno personalmente: “la strada che sto percorrendo è la mia o di qualcun altro? quale sarà il mio futuro?”. La fiducia che i giovani hanno nel domani è piuttosto scarsa; sono più propensi a vederlo carico di rischi e di minacce piuttosto che di sogni e di promesse. «Che futuro avrò? – si chiede un giovane –. Che persona sarò? Chi sarò tra 5-10 anni, domani? Troverò una svolta nella mia vita?». La pandemia ha rafforzato il senso di incertezza, con la precarietà che ha immesso nell’esistenza di tutti.
«La pandemia – dice una giovane – ha cambiato proprio il modo di vedere tutto, a cominciare dalla prospettiva del futuro. Per esempio, se penso a noi giovani, io fino a un anno fa avevo più speranze di quello che avrei potuto fare. Ora vediamo il futuro con più preoccupazione». La questione ecologica, i cambiamenti climatici, il timore di una guerra nucleare sono fatti e condizioni che accentuano il senso di incertezza e lo sguardo pessimista sul futuro.
A questi interrogativi personali si aggiungono per molti di loro quelli che riguardano la vita in generale. «Perché siamo al mondo? Qual è il nostro scopo? Come siamo arrivati? Da dove siamo arrivati?». Sono le domande che si pone un giovane ventisettenne, e altre rimbalzano con parole diverse nella coscienza di molti ragazzi: «Mi chiedo se ci sia un senso a questa vita, e mi chiedo quale sia. Com’è che siamo arrivati a vivere in un mondo che mi sembra molto lontano dalla nostra natura?». C’è un fondo di amaro in chi si chiede qual è il proprio obiettivo, oltre a sopravvivere, e conclude: «Il senso della vita non lo so, forse è viverla!». E un altro, mentre afferma che non si è mai posto la domanda, aggiunge: «Il senso forse è cominciare a chiederselo».
Alle domande sulla vita corrispondono quelle che riguardano la morte; anzi, i giovani che pongono al primo posto il tema della morte sono più numerosi di quelli che citano la vita e il suo senso. Dice un ventitreenne: «In questo periodo, la morte e cosa ci sia dopo la morte è assolutamente la domanda che mi faccio di più e che mi agita di più». Non solo la propria morte, ma quella delle persone care. «Che cosa succede dopo la morte? Mi viene l’angoscia perché non so come spiegarmela, dove trovare una spiegazione, perché non credo più, non so dove andare a cercare». Vi è dunque un rapporto tra questo interrogativo e la fede: l’aver abbandonato la fede rende angoscioso questo argomento, così come il non avere risposta a questa domanda – e a quella del male – è causa di allontanamento: «È il non avere risposte che ti porta ad allontanarti dalla fede».
Anche il tema del male costituisce una delle pietre di inciampo sul cammino della fede: «Quando ti succede che non va, dici: “eh, ma perché? perché succede questo?». E Dio diventa l’imputato principale: «Quando succedono nel mondo cose brutte, guerre, inondazioni, bambini morti di fame, dico: “se c’è qualcuno, cosa sta facendo adesso? Sta guardando e non fa nulla?”»
Qualunque sia la questione esistenziale che si affronta con i giovani, credenti e non credenti, a un certo punto emerge la questione di Dio come quella ineludibile; emerge anche solo per negarne il valore, ma comunque come un argomento con il quale è impossibile non fare i conti. «È la domanda principale – afferma un giovane 23enne –, quella effettivamente è la domanda principale che mi sono fatto negli anni».
Ciò che dà valore alla vita
Vi è un modo con cui i giovani danno valore alla loro esistenza: è soprattutto ispirato a valori di libertà e di amicizia. Della libertà sono particolarmente gelosi: non solo della propria ma anche di quella di tutti: libertà come possibilità di vivere a modo proprio, di assecondare le proprie visioni, di compiere scelte svincolate da ogni condizionamento, in ambito religioso, morale, esistenziale. È uno dei frutti dell’esasperazione del proprio io. Il rispetto, per le proprie scelte e per quelle di cui ciascuno ha diritto, va quasi di pari passo. E poi vi sono i valori relazionali, innanzitutto l’amicizia, il senso di solidarietà con quanti sono in difficoltà, la disponibilità a darsi da fare mettendosi in gioco. Del resto, ricordiamo tutti la generosità con cui molti giovani durante il lockdown si sono spesi con piccole azioni di aiuto, soprattutto per gli anziani e i bambini.
Non mettono tra le esperienze che possono dare valore alla loro vita il volontariato secondo la modalità stabile e organizzata di un tempo, ma sono disposti a mobilitarsi in occasione di emergenze, anche con scelte impegnative, facendo sacrifici e dandosi da fare senza risparmiarsi. Sono molto sensibile alle grandi domande di oggi, soprattutto quelle nelle quali avvertono che è in gioco il loro futuro. Il tema ambientale è tra i principali. Si sentono interpretati da papa Francesco e dalla determinazione con cui affronta questi argomenti; sono affascinati dalla sua persona, sono essi credenti o non credenti, e vedono in lui forse l’unico leader che difende le loro attese e dà voce alle loro esigenze.
Tra gli ambizioni del loro impegno ne manca uno, sempre più in crisi: manca la politica. Il bene comune è un’idea astratta per loro che avrebbero bisogno di vederlo incarnato e testimoniato in scelte concrete, cui la politica stenta a dare realizzazione. In astratto ne hanno una considerazione positiva, ma ritengono che i modi con cui viene vissuta da quelli che ne sono i principali interpreti pubblici compromettano il suo valore ideale. Così se ne tengono lontani, quasi fosse cosa che non li riguarda.
Il mondo interiore dei ragazzi e dei giovani è esuberante, talvolta magmatico, certamente inquieto. Ho voluto dare parecchio spazio alle loro affermazioni, per dare loro la parola, perché sia possibile rendersi conto direttamente dei pensieri e delle paure, dei sogni e delle inquietudini che si agitano dentro di loro. Qualcuno a questo punto potrà obiettare che i giovani che conosce sono indifferenti, hanno in mente solo di star bene e di divertirsi, che i loro giorni si svolgono uno dopo l’altro nella superficialità o nella ricerca di esperienze banali ed effimere. Certamente vi sono ragazzi e giovani che vivono in questo modo, ma di fronte a un’indifferenza reale o apparente occorre che noi adulti ci interroghiamo: è proprio questa la realtà della loro vita, o forse sotto un’immagine di spensieratezza e di banalità si nasconde altro? Magari domande che non hanno il coraggio di fare o di farsi e che restano sepolte sotto una cortina di indifferenza per frenarne la potenza destabilizzante. Le sono domande difficili da portare. Come affrontarle, nella forza dirompente che a volte esse hanno? Con chi condividerle?
Sia le domande sia l’apparente mancanza di esse costituiscono una provocazione cui gli adulti, e particolarmente genitori ed educatori, non possono sottrarsi.
3-continua
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