La teologa: un gioco costante di aperture e di chiusure che ci allontana e di avvicina all’altro/a. Ecco la bellezza dell’alterità che diventa ricchezza per la coppia e per la Chiesa
Intimità fa rima con alterità / Alterità. Non esiste, infatti, intimità senza relazione. Lo stesso Agostino, quando definiva Dio intimior intimo meo (Confessioni, III, 6,11), delineava proprio il profondo legame con il Signore. L’intimità è pertanto una forza anche centrifuga e non solo centripeta, come siamo abituati a pensare. L’intimità è la capacità di abbracciare le differenze, mantenendole tali, non annullandole o conglobandole: comunione e differenza, in cui il “tu” rimane un “tu” seppur vicino e amante/ amato. Il Salmo 139 mostra in modo lampante questa dinamica, in cui il dialogo (non un monologo!) mostra contemporaneamente vicinanza e distanza. L’intimità è sapiente equilibrio di passione – che dice compromissione con l’amato – e attenzione – che dice riconoscimento e rispetto. Si potrebbe dire che è come il cursore di una cerniera lampo: unisce e separa due lati simili ma non identici, in un costante gioco di aperture e chiusure.
Nella coppia coniugale l’intimità così intesa presenta il massimo delle caratteristiche possibili: la differenza maschile/femminile – seppur variamente conosciuta, compresa e interpretata nel corso dei secoli – si presenta sul piano biologico, psicologico, sociale e spirituale. Nel rito del matrimonio vi è inoltre uno specifico impegno della coppia a curare tale alterità nel chronos, affinché diventi esso diventi kairos. Questo ovviamente non significa che non possa esistere un rapporto di intimità anche in altre relazioni (ad esempio tra amici), ma la coppia coniugale è, in qualche modo, l’archetipo ove l’essere umano in tutte le sue dimensioni, e nell’impegno con il tempo, è chiamato a dispiegare questa forza vitale. Convivialità delle differenze, allora, potrebbe essere un modo di tradurre intimità. Una convivialità delle differenze, anche tra il Creatore e la creatura, che ritroviamo nella stessa Rivelazione: è lampante nella Creazione, nella Incarnazione e nella Risurrezione.
L’intimità di coppia e l’intimità con il Signore possono e devono illuminarsi a vicenda. L’intimità dei coniugi, che piano piano assume l’alterità – smontando gli ideali, le aspettative, i pregiudizi e anche le attese altrui – per confrontarsi con il reale, abbracciando quotidianamente l’altro pur mantenendolo altro, in cammino nella storia personale e dell’umanità, assume pertanto una triplice ministerialità ecclesiale. Il primo compito è quello di smontare la falsa religiosità, ovvero tutte quelle forme che appiattiscono Dio su una nostra immagine precostruita (Dio a immagine e somiglianza nostra), semplicistica e troppo umana. Gli stessi discepoli non furono esenti da questa fatica: loro per primi dovettero rielaborare le loro aspettative sul Messia. Dio deve tornare ad essere Altro, non la mia idea su di lui. Il secondo compito è quello di promuovere una nuova cultura che sappia assumere la complessità del reale in tutte le sue sfaccettature, dove l’altro non sia il diverso (di-vergo, allontano) ma il com-pagno (colui con cui magio il pane, una convivialità appunto).
Il terzo e ultimo passaggio è quello di promuovere una nuova spiritualità, che sia pro-fana (davanti al tempio), fuori dallo spazio sacro, legata al quotidiano, perché capace di cercare e trovare Dio in ogni alterità. Vi sono quattro forme di intimità tradita che appaiono operanti nel nostro contesto culturale. Esse non solo minano la coppia, ma generano anche un’errata comprensione della Rivelazione. Ai partecipanti alla “XXV Settimana” è stato chiesto di lavorare proprio su queste quattro forme menomate di intimità, per comprendere come si rivelino nocive per la fede, la testimonianza e la ministerialità; i gruppi di lavoro hanno esibito una notevole vivacità, generando scambi intensi. Esse sono: l’intimità sbandierata (estimità) o spettacolarizzata e il suo contrario, l’intimità ripiegata: nessuna delle due sa mantenere la tensione tra pubblico e privato e si rivelano inconsistenti sul piano della testimonianza; l’intimità conglobante, in cui uno dei due monopolizza la relazione rendendola vana, noncoppia; l’intimità standardizzata che non tiene conto delle caratteristiche personali della coppia e mima forme altrui di intimità.
Non potendo riportare l’intero dibattito, si lascia la medesima domanda anche ai lettori: in che modo queste quattro forme di intimità tradita minano la comprensione della Rivelazione, la nostra fede, la nostra testimonianza? Squarcio luminoso e ombra incombente, l’intimità è come un elastico che ci riporta a casa, per ritrovarci e ripartire, per non avere paura di un mondo sempre più complesso (e complicato) ma per viverci pienamente da figli amati.
Docente di teologia morale
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