“Convivenze, quell’amore da ricucire”

di Barbara Garavaglia da Avvenire domenica 30 giugno 2024

Il ruolo fondamentale dei percorsi di educazione all’affettività

per far maturare relazioni balbettanti ma da custodire e accompagnare anche nei momenti di crisi. Così si mostra il volto accogliente della comunità

La Chiesa guarda a queste realtà con crescente attenzione pastorale per non renderle solo “matrimoni in prova”, ma percorsi di responsabilità. Anche quando si inceppano. Parlano Barbara Baffetti, don Mauri e don Pesce

È una realtà inconfutabile. Dati alla mano, il quadro è chiaro: in Italia ci si sposa sempre di meno e, quando una coppia decide di vivere insieme al matrimonio preferisce la convivenza. I motivi del calo – dopo una lieve ripresa nel 2022, nel 2023 c’è stata una nuova flessione ma complessivamente negli ultimi dieci anni sono stati 18mila in meno – sono molteplici e noti: dalla diminuzione della popolazione, alla crisi economica, alla scarsa fiducia nel futuro. Forse anche per una inadeguata formazione ed educazione alla relazione.
Di fronte a questa realtà anche la Chiesa si interroga e cerca modalità per accompagnare le coppie conviventi, anche nel momento in cui questo legame si rompe.
Può accadere infatti che la convivenza si sfilacci, che si spezzi, con uno strascico di sofferenze e una necessità di riassestamento che porta con sé difficoltà, incomprensioni. Chi si mette al fianco di queste donne e di questi uomini che vivono il dolore di un rapporto d’amore e di convivenza che si interrompe? A chi un giovane si può rivolgere per condividere il proprio fardello di problemi e di dolore?
Ci sono persone che dopo la fine di una convivenza devono tornare a casa dei genitori, ci sono persone che non hanno una prospettiva. Può pesare un giudizio, il sentirsi comunque al di fuori di una comunità perché reduci da una relazione non sancita dal matrimonio.
E anche perché mostrare la propria sofferenza, la propria delusione, la propria debolezza, è difficile.
Dopo l’esortazione apostolica Amoris Laetitia, con la volontà di far germinare semi di bene, l’attenzione verso le coppie conviventi emerge nei territori, anche se una presenza capillare di percorsi di sostegno e di formazione è percepita come necessaria. Esistono cammini in cui confrontarsi, anche con coppie di sposi, nei quali mettere al centro anche le proprie fragilità.
«La prima cosa è comunicare che esiste una possibilità di essere accolti e ascoltati – afferma con determinazione Barbara Baffetti che, con il marito Stefano Rossi, è tra le coppie fondatrici assieme a don Carlo Rocchetta, della Casa della Tenerezza di Perugia, oltre ad avere un incarico di collaborazione con il direttore dell’Ufficio nazionale Cei per pastorale della famiglia, padre Marco Vianelli –. Da noi, alla Casa della Tenerezza, giungono coppie di conviventi che, di fronte alla crisi, visto che hanno investito seriamente in quel legame, vogliono tentare di recuperare. Il volto accogliente della Chiesa deve essere però sostenuto dalla competenza, altrimenti si rischia di fare dei danni. Non è inusuale che un accompagnamento di questo tipo, che faccia sentire accolti, che partendo dall’aiuto sulla dinamica di relazione e dal fatto che si faccia cogliere che c’è una comunità che si preoccupa di loro, anche se non hanno celebrato il sacramento, il recupero della coppia apre a una posizione diversa rispetto al matrimonio».
La comunità cristiana dinanzi a queste persone che si trovano in difficoltà deve mostrare quindi un’attenzione particolare, deve far scorgere nelle trame dei rapporti, la cura di Dio per ciascuno. «L’argomento è complesso – riflette don Cristiano Mauri, sacerdote ambrosiano, diplomato come coach professionista, counsellor e mediatore familiare -. La vera questione riguarda le comunità cristiane che non riescono a intercettare una grande quantità di sofferenze, di diverso genere. Le comunità faticano ad arrivare alle sofferenze e, dall’altro canto, meno gente chiede aiuto. Forse le persone non ci ritengono più interlocutori adeguati cui domandare un aiuto».
Si tratta perciò di essere in grado di far comprendere a queste persone che la loro sofferenza “sta a cuore” alla comunità. «Provare a trattare le coppie non alla pari per il tipo di percorso, ma sulla dignità della persona – specifica don Mauri -, è un passo. Pensare di fare una proposta a chi fa questa scelta della convivenza, per dir loro che si stanno preparando a un percorso importante, in cui ci saranno anche delle difficoltà, potrebbe essere interessante.
Sarebbe bello offrire degli strumenti per affrontare questo cammino e mettere le coppie nelle condizioni di trovare delle risorse, proponendo un riferimento. Per far comprendere che, se la coppia convivente dovesse trovare delle difficoltà, potrebbe rivolgersi a te, alla comunità.
Se stai soffrendo, se vi state facendo del male, se avete problemi, ci siamo: la tua sofferenza mi sta a cuore. Dobbiamo prendere sul serio queste persone che fanno una scelta di peso, che potrà portare delle difficoltà, ma che farà anche sperimentare tante cose belle. Mi piacerebbe, come Chiesa, che si offrissero dei contesti in cui aiutare ad approfondire questa scelta, per goderla appieno, per aiutare eventualmente nelle difficoltà. Perché una persona si senta accolta, non giudicata».
Da dove origina questa fragilità e la scarsa propensione al matrimonio civile oppure religioso?

Don Francesco Pesce, direttore del Centro Famiglia della diocesi di Treviso e membro del comitato scientifico del Centro internazionale di studi sulla famiglia, va al cuore della questione, ponendo l’accento sul fatto che il matrimonio non rappresenta più il modello per i più giovani: «Ciò che noto dal mio osservatorio – spiega il sacerdote – è che la convivenza è un dato di fatto. È l’unica soluzione che una coppia sa percorrere quando vuol prendere sul serio una relazione. La convivenza è l’unico modello che hanno sotto gli occhi: stanno bene insieme, di conseguenza vanno a convivere. Questo è l’unico linguaggio che conoscono».
Ci sono altre parole da dire, altri modelli da proporre; c’è un “per sempre” che non è ne utopico, ne spaventoso, ma strada percorribile e rispondente a un anelito insito nella coppia. «Ai corsi di preparazione al matrimonio – continua don Pesce – ci sentiamo dire: “Queste cose non ce le ha mai dette nessuno”. C’è stupore e non solamente riguardo al sacramento, ma per esempio su come superare i conflitti, sulle relazioni con le famiglie di origine… Queste sono le coppie oggi. Manca un abc relazionale, riguardo al come ci si prende cura della coppia. Siamo in un contesto individualizzante e non siamo in grado di riconoscere le fatiche relazionali».
Ritorna perciò l’auspicio a una mano tesa verso le coppie conviventi, perché trovino chi li accompagni: «Importante – conclude il direttore del Centro Famiglia – dare degli strumenti perché si percepisce il desiderio di qualcosa di più “solido”. L’accompagnamento è importante, e va fatto da coppie normali, che sono in cammino.
Bisogna essere degli umili accompagnatori.
“Per sempre” è un anelito che cresce nell’accompagnamento »

RIPRODUZIONE RISERVATA Il crollo dei matrimoni sacramentali (meno 18mila negli ultimi 10 anni) non ha ridotto in proporzione il numero della coppie che “scoppiano”.
Non soltanto matrimoni ma anche convivenze.