«Cosa vuoi conoscere veramente?» La domanda che segna la strada

di Paola Muller da Avvenire mercoledì 16 luglio 2025

L’interrogativo che apre i “Soliloqui” di Agostino invita a riflettere sul significato profondo della conoscenza. L’amore come risposta, e la strada verso la verità autentica

«Che cosa vuoi conoscere?». È con questa domanda che si apre il primo libro dei Soliloqui (I, II.7), il dialogo interiore che Agostino intrattiene con la propria anima. Una domanda radicale, che attraversa i secoli e raggiunge anche noi, figli di un’epoca che spesso confonde l’accumulo di informazioni con la conoscenza e l’opinione con la verità. Agostino, giovane convertito, risponde con disarmante chiarezza: « Dio e l’anima». Poi aggiunge: « null’altro». Può sembrare una risposta spiritualista, lontana dalle urgenze concrete. In realtà, tocca il cuore della condizione umana. Chi siamo? Da dove veniamo? Dove stiamo andando? Sono domande che nessun sapere tecnico può esaurire. In esse vibra il desiderio che ha guidato Agostino per tutta la vita e che oggi può ancora orientare la nostra. Pochi anni prima, era immerso nel dubbio. Aveva lasciato il manicheismo, ma non aveva ancora trovato risposta alla grande questione del male. Come può esistere il male in un mondo creato da un Dio buono? Senza risposta, tutto gli appariva incerto, dubitabile. Si era rifugiato nello scetticismo, rinunciando, almeno in apparenza, alla verità.

Eppure, qualcosa in lui resisteva. Un desiderio profondo, insopprimibile. Non poteva negare la propria sete di verità. Ed è proprio questa fame interiore a condurlo a una certezza sorprendente: « Si fallor, sum [Se m’inganno, esisto]» ( La città di Dio, XI, 26). Nessuno può essere ingannato se non esiste. È questa la soglia oltre la quale si apre per Agostino una nuova via: la certezza dell’esistenza e della coscienza di esistere – anticipando di secoli il celebre cogito cartesiano. Una verità che non si impone dall’esterno, ma nasce dal cuore stesso dell’esperienza personale. È un ragionamento che oggi può apparire ardito, ma che racchiude una sfida fondamentale: se vogliamo davvero conoscere, dobbiamo riconoscere la verità come qualcosa che ci precede, che ci trascende e che ci chiama. La verità non è creazione nostra, ma è presenza che giudica, come una luce che ci attira e ci espone. La verità precede e fonda ogni possibile conoscenza. Nulla si può conoscere se prima non si conosce la verità. Ma che cos’è la verità? È ciò che è. Più ancora: è ciò che non può non essere.

Questa scoperta lo conduce di nuovo alla grande domanda: che cosa voglio conoscere? Dio e l’anima. Non oggetti tra altri, ma le due realtà da cui dipende il senso del mondo e della vita. La via che porta a Dio passa attraverso la conoscenza dell’anima, e viceversa. L’una è condizione dell’altra. Eppure, Agostino ammette: « Amo solo Dio e l’anima, e non conosco nessuno dei due» (Soliloqui, I, II.7). Un paradosso che ci riguarda: desideriamo il vero, ma non ne possediamo la forma. È il desiderio che ci muove. Non si conosce per possesso, ma per amore. È l’amore che apre gli occhi, che purifica lo sguardo, che ci rende capaci di vedere. « Non si può infatti amare ciò che s’ignora del tutto. Ma quando si ama ciò che in qualche modo si conosce, in virtù di questo amore si riesce a conoscerlo meglio e più profondamente» ( Commento al Vangelo di Giovanni, 96.4). Non c’è vera conoscenza senza amore. Il sapere, per Agostino, è un atto affettivo prima che concettuale. La conoscenza non è mai un atto neutrale o distaccato, ma è sempre implicata, incarnata, desiderante. È un atto di partecipazione. L’uomo è attratto, portato, spinto verso ciò che ama. L’intelligenza, quindi, non è autonoma, ma è radicata nel cuore. Si conosce solo ciò che si ama.

La verità non è una formula da apprendere, ma una presenza da incontrare. E poiché solo ciò che è vero esiste davvero, solo ciò che è eterno può dirsi propriamente vero. La verità non muore, e per questo la conoscenza autentica è sempre un passo verso l’eternità. Ma il cammino della verità non è mai lineare. Agostino sperimenta la paura della fede. Dopo le delusioni passate, teme di sbagliarsi ancora. Nelle Confessioni, racconta di come i sermoni di Ambrogio, con la loro lettura spirituale della Scrittura, lo affascinino e lo inquietino. La Bibbia, che un tempo gli era sembrata rozza, ora gli si apre come mistero vivo. Ma egli esita. «Che pretesa la mia», scrive, «di raggiungere, su cose che non vedevo, la stessa certezza con cui ero certo che sette più tre fa dieci! » (Confessioni, VI, 4.6).

Vorrebbe la verità senza rischio. Ma la verità, per mostrarsi, chiede il coinvolgimento dell’intera persona, la trasformazione del cuore. Proprio questa resistenza interiore diventa l’occasione per un nuovo affidamento. La fede guarisce l’intelligenza ferita. E la verità, lentamente, si lascia vedere. La via della verità è anche, inevitabilmente, una via di purificazione. Conoscere Dio non è esercizio intellettuale: è un’ascesi. L’anima, attratta dal vero, deve liberarsi dai falsi beni, dalle illusioni, dalla superficialità. Solo occhi puri possono vedere la luce del sole. Solo un cuore libero può accogliere la verità. Così anche la conoscenza dell’anima non è analisi astratta, ma ritorno alla sorgente. Non è la descrizione di un oggetto, ma il riconoscimento del proprio io vivente, in cui dimora la verità.

Se la verità non muore, neppure l’anima può morire. È una conclusione che Agostino raggiunge non con dogmi, ma attraverso un cammino rigoroso, che unisce ragione, esperienza e desiderio. Così, la tensione iniziale – conoscere Dio e l’anima – si chiarisce progressivamente: conoscere è atto spirituale, perché riguarda ciò che non passa. Il sapere autentico non si ferma alla superficie delle cose, ma si inoltra nell’invisibile, nell’eterno, in ciò che davvero conta. Agostino descrive il percorso esistenziale dell’uomo come il travaglio di un ens desiderans, che mai si appaga pienamente di alcuna realtà finita, ma il cui cuore è in continua e costante apertura. Alla fine del suo percorso, giunge alla consapevolezza che il desiderio, innescato dalle creature finite, è in verità orientato verso l’Infinito. La conoscenza dell’anima non è più un sapere speculativo, ma un ritorno a casa. L’anima si riconcilia con Dio. E solo così diventa capace di conoscere davvero. Non si tratta, quindi, di scegliere tra fede e ragione, tra cuore e intelletto, ma di riconoscere che il cammino della conoscenza è sempre unitario e integrale. Si conosce con tutto sé stessi: con la mente, con l’affetto, con la libertà. La conoscenza, allora, non è dominio, ma ascolto. Non è conquista, ma relazione.

Il cammino lo conduce a liberarsi anche da una concezione troppo corporea del sapere. L’interiorità platonica e la lettura allegorica delle Scritture gli aprono un mondo nuovo. Scrive: «Si unisca ora a te la mia anima, che hai estratta dal vischio tenacissimo della morte» (Confessioni, VI, 6.9). Conoscere l’anima non è più sapere qualcosa, ma ritrovare la propria casa. E lì, finalmente, riconoscere Dio. E noi, che cosa vogliamo conoscere? È la domanda che resta, anche oggi. In un tempo sovraccarico di informazioni e povero di senso, Agostino ci invita a tornare alle domande fondamentali. Non si tratta solo di sapere di più. Si tratta di sapere che cosa vale la pena sapere. Non tutte le conoscenze cambiano la vita. Alcune distraggono, altre disorientano. Solo quelle che ci mettono in gioco davvero – come Dio e l’anima – ci trasformano.

Al termine del suo cammino, Agostino non afferma di aver trovato tutte le risposte. Ma sa che cosa cercare e come cercarlo. E forse è questo che oggi più ci manca: sapere che cosa vale, sapere come desiderare. In un tempo in cui tutto sembra conoscibile, ma poco è davvero conosciuto, la domanda di Agostino suona quanto mai attuale. Possiamo orientarci tra intelligenza artificiale, algoritmi e big data se non ci chiediamo prima chi siamo e che cosa desideriamo davvero sapere? La domanda resta aperta. Forse basta cominciare da qui. Da un io che cerca, da una verità che chiama, da un amore che attira.

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