Cari fratelli e sorelle, buongiorno e benvenuti!
Siete giunti alla meta del vostro pellegrinaggio, ma, come i discepoli di Gesù, ora dobbiamo imparare ad abitare un mondo nuovo. Il Giubileo ci ha resi pellegrini di speranza proprio per questo: tutto va ormai guardato alla luce della risurrezione del Crocifisso. È in questa speranza che siamo salvati! Gli occhi, però, non sono abituati. Così, prima di ascendere al cielo, il Risorto ha iniziato a educare i nostri sguardi. E continua a farlo anche oggi! In effetti, le cose non sono come sembrano: l’amore ha vinto, sebbene abbiamo davanti agli occhi tanti contrasti e vediamo lo scontro fra molti opposti.
In un’epoca altrettanto travagliata, nel secolo XV, la Chiesa ha avuto un Cardinale ancora oggi poco conosciuto. Fu un grande pensatore e servitore dell’unità. Si chiamava Nicola e veniva da Kues, in Germania: Nicola Cusano. Lui ci può insegnare che sperare è anche “non sapere”. Come scrive San Paolo, infatti, «ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo?» (Rm 8,24). Nicola Cusano non poteva vedere l’unità della Chiesa, scossa da correnti opposte e divisa fra Oriente e Occidente. Non poteva vedere la pace nel mondo e fra le religioni, in un’epoca in cui la cristianità si sentiva minacciata da fuori. Mentre viaggiava, però, come diplomatico del Papa, egli pregava e pensava. Per questo i suoi scritti sono pieni di luce.
Molti suoi contemporanei vivevano di paura; altri si armavano preparando nuove crociate. Nicola, invece, scelse fin da giovane di frequentare chi aveva speranza, chi approfondiva discipline nuove, chi rileggeva i classici e tornava alle fonti. Credeva nell’umanità. Capiva che ci sono opposti da tenere insieme, che Dio è un mistero in cui ciò che è in tensione trova unità. Nicola sapeva di non sapere e così comprendeva sempre meglio la realtà. Che dono grande per la Chiesa! Che chiamata al rinnovamento del cuore! Ecco i suoi insegnamenti: fare spazio, tenere insieme gli opposti, sperare ciò che ancora non si vede.
Il Cusano parlava di una “dotta ignoranza”, segno di intelligenza. Protagonista di alcuni suoi scritti è un personaggio curioso: l’idiota. È una persona semplice, che non ha studiato e pone ai dotti domande elementari, che mettono in crisi le loro certezze.
È così anche nella Chiesa di oggi. Quante domande mettono in crisi il nostro insegnamento! Domande dei giovani, domande dei poveri, domande delle donne, domande di chi è stato messo in silenzio o condannato, perché diverso dalla maggioranza. Siamo in un tempo benedetto: quante domande! La Chiesa diventa esperta di umanità, se cammina con l’umanità e ha nel cuore l’eco delle sue domande.
Cari fratelli e sorelle. Sperare è non sapere. Noi non abbiamo già le risposte a tutte le domande. Abbiamo però Gesù. Seguiamo Gesù. E allora speriamo ciò che ancora non vediamo. Diventiamo un popolo in cui gli opposti si compongono in unità. Ci addentriamo come esploratori nel mondo nuovo del Risorto. Gesù ci precede. Noi impariamo, avanzando un passo dopo l’altro. È un cammino non solo della Chiesa, ma di tutta l’umanità. Un cammino di speranza.
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