GENITORI TESTIMONI DI GIOIA IL “SI” VENGA PRIMA DEL “NO”

di Cecilia Pirrone da Avvenire Noi in famiglia domenica 12 marzo 2023

Impara l’arte di elogiare. Sottolineare sempre quello che non va potrebbe far credere ai piccoli che solo i loro errori sono interessanti ai nostri occhi

«Io non ne posso più, non ne posso più, non ne posso più! Io mi sento solo in mezzo a tanti soli. E perché? Perché la storia vampira degli adulti ha trasformato la mia scuola in verificatoio e gli affetti in cactus, a cui avvicinarmi con cautela e circospezione, metti mai che mi facciano un pdp perché sono più sensibile degli altri!

È necessario riaccendere il desiderio di gioia nell’essere insieme, è una medicina che vorrei per me e per tutti.

Non per arroganza, ma per necessità e apnea mi sento di dare qualche suggerimento.

Fabbricate pillole di gioia in parole, opere, omissioni.

Parole: tornate a dialogare con chi mettete al mondo;

Opere: cominciate a vivere con chi mettete al mondo;

Omissioni: omettete il vostro peso dalle ali di chi mettete al mondo».

Queste parole Giovanni, 17 anni, le ha consegnate alla prof.ssa Lucangeli che le ha sapientemente condivise durante un recente Convegno Cei. Mi hanno un tal punto colpito che non le posso tacere. Ecco l’appello di questo giovane: riaccendete il desiderio di gioia!

Il nostro cervello ha un ruolo molto importante nella regolazione del nostro umore. Esistono, infatti, diverse sostanze chimiche, neurotrasmettitori, che ci aiutano ad essere felici ea sentirci meglio. Ciascuno di essi ha una funzione differente: la dopamina, per esempio, è legata alla sensazione di piacere e di soddisfazione; la serotonina viene stimolata dai farmaci utilizzati nella cura della depressione, pertanto buoni livelli di serotonina aiutano a sentirsi importanti e riconosciuti, mentre un livello basso ci fa sentire soli e depressi. L’ossitocina viene prodotto, ad esempio, durante il parto e l’allattamento, permette di costruire vincoli con le altre persone e di avere fiducia; le endorfine sono legate alla percezione del dolore, proteine ​​come una sorta di analgesico e vengono prodotte soprattutto quando si fa esercizio fisico; l’adrenalina permette invece di utilizzare la propria energia e di sentirsi meno stanchi, aiuta a dare il massimo nei momenti di stress, sia disponibile che a livello mentale. Per liberare l’adrenalina è necessario uscire dalla zona di comfort e fare attività nuove ed emozionanti. Questa veloce carrellata aiuta a comprendere che “la chimica della felicità” ci sostiene ed è possibile averne cura facendo attenzione al proprio stile di vita oltre a quello degli altri, soprattutto se si tratta dei bambini. Un’educazione positiva è davvero a supporto del buon funzionamento del Sistema Nervoso Centrale. Invece alle volte che succede oggi? Sembra che l’uomo si sia dimenticato di sorridere! Troppi problemi, un mondo difficile, le guerre, il caro vita, spesso arrabbiati e sempre di corsa… tutto vero, ma quale peso mettiamo sulle spalle dei più giovani con le lamentazioni adulte, con uno sguardo costantemente offuscato dalla complessità e dai problemi? « Piuttosto che diventare un adulto depresso, preferisco restare un giovane scapestrato!», pensava un ragazzo facendo riferimento alla sua insegnante sempre nervosa, insoddisfatta, arrabbiata con il mondo perché con i colleghi non si poteva collaborare, il dirigente spesso assente, lo stipendio misero … Non si vuole fare il “processo agli adulti”, ma è fondamentale interrogarsi come genitori ed educatori: «Quale vita testimonianza con la mia vita?». Una domanda semplice, ma non banale, un quesito essenziale che permette un cambio di sguardo, smantellando i luoghi comuni riferiti ai “giovani d’oggi privi di valori” e mettendosi profondamente in gioco gli adulti. In altri termini, come dice il proverbio, “non si porta nessuno là dove non si è stati”. I bambini hanno bisogno di educatori che affrontino la vita con uno sguardo positivo, mettendo ostinatamente l’accento su quanto di bello e di vero esiste a questo mondo. Uno stile educativo positivo, pone l’enfasi sullo sviluppo di una relazione sana con il bambino e su come definire delle aspettative riguardo al suo comportamento. Per metterla in pratica sono necessari alcuni accorgimenti: passare del tempo insieme è ingrediente necessario per costruire qualsiasi relazione positiva, lo è ancora di più con il proprio figlio; elogiare gli aspetti positivi invece che focalizzarsi e far notare i comportamenti negativi dei bambini o dei ragazzi. Sottolineare costantemente quello che non va, porta i piccoli a pensare che catturano la nostra attenzione compiendo quell’azione sbagliata, perpetrando quindi, condotte negative piuttosto che interromperle. I bambini si rafforzano grazie ai complimenti. Li fanno sentire amati e speciali. Infine dire ai bambini esattamente quello che si vorrebbe da loro è molto più efficace del dire cosa non si vorrebbe. Quando chiedi a un bambino di non combinare guai o di fare “il bravo”, non necessariamente capisce cosa è tenuto a fare. Istruzioni chiare come: «Per favore raccogli tutti i tuoi giochi e mettiti a posto», fissa delle chiare aspettative e aumenta le possibilità che loro facciano ciò che chiedi. È importante però che le aspettative siano realistiche: chiedere a un bambino di stare tranquillo tutto il giorno potrebbe non essere fattibile come chiedergli di stare calmo per 10 minuti mentre stai facendo una telefonata. Educare è un’arte, un intervento delicato e complesso che richiede non solo conoscenze tecniche, ma soprattutto attenzione, sensibilità, capacità creativa. Significa aiutare un bambino a sviluppare le sue potenzialità ea diventare indipendente. Vuol dire adoperarsi per far emergere la personalità del piccolo rispettando le sue caratteristiche. L’educazione dei figli richiede dedizione, pazienza e tempo, più che preoccuparsi per loro, è necessario occuparsi di loro: ogni comportamento dei genitori è educativo solo se riempito d’amore. E così mentre i genitori imparano ad esercitare la loro arte, i figli hanno bisogno che in casa, domini quella bellezza data dalla “convivialità di differenze” che è la famiglia. Riprendiamo ancora le parole sagge di Giovanni: «Omettete il vostro peso dalle ali di chi mettete al mondo». Quando nasce un figlio, si compie il più grande atto d’amore senza che nessuno garantisca niente: come genitori non sappiamo se sarà alto, basso, biondo o moro, sano o malato… nulla! Gratis. Lo facciamo nascere gratuitamente solo per amore, solo per la gioia che ci siano e basta. E poi questa la perdiamo per strada, sostituita dalla gioia di quello che potrebbero essere nella nostra testa, sostituita dalle nostre proiezioni, dai nostri desideri. E così, nel tentativo di volergli bene, gli mettiamo addosso delle condizioni, facendo molta fatica a riconoscerli per quello che sono. «Se sono il tuo genitore, vuoi che non ti voglia bene?». Ogni figlio è distante dall’ideale che noi immaginavamo per lui e così siamo chiamati ad amarlo proprio perché è lontano da questo ideale. Lo amo perché non corrisponde a nessuna provenienza che io avevo su di lui. Lo accolgo per quello che è ed è molto diverso da me. Accogliere, dal latino colligere, cioè raccogliere presso di sé, ricevere uno con dimostrazione di affetto. Non si attrezza un bambino alla vita pressappoco dicendogli: «Tu sarai quello che io non sono stato. Tu sarai come io vorrei che tu fossi. Tu arrivi ti riscatterai (o mi riscatterai) dalle mie mani dure che sono costrette a fare lavoro pesante, o dal fatto che spesso non sappiamo con la busta paga a fine mese». Un figlio che riceve input simili (più o meno espliciti), anche in buona fede è un figlio attrezzato al risentimento, altro che alla gioia e alla speranza! In altre parole si fa l’idea che avrebbe dovuto avere o essere, ma non ha o non è. È risentito contro la vita, o meglio: contro il limite della vita. E allora non può prendere quello che essa effettivamente dà, perché egli è altrove, con la voglia la pretesa, la non reciprocità, il rifiuto di mettersi in gioco. Non si tratta di accontentarsi o di rassegnarsi: “prendo quello che c’è” quasi come un invito depressivo: “ridimensiona le tue attese e vivrai in pace”. Si tratta di dire a questi bambini: «Io ti amo per ciò che sei e per ciò che sarai!». Chi custodisce nel cuore la leggerezza che ciascun figlio va bene così com’è? Chi è capace di amarlo senza se e senza ma? Io darei la mia vita per te, adesso, anche se vai male a scuola, anche se sei pigro, anche se non riordini la tua stanza, anche se hai preso una nota … ti voglio bene così come sei! Solo dentro questa certezza un figlio potrà cambiare i tratti che deve cambiare. Ti voglio bene ora, non domani se cambi! Il bene è il bene, non si può chiedere ad un figlio che se lo merita. Altrimenti poi quando diventano adolescenti, dilagano fenomeni quali l’anoressia, l’alcolismo, il bisogno esagerato di mettere a rischio la vita per abbattere il limite, il desiderio di tagliarsi con le lamette del rasoio… terra e riesco a studiare!”. Perché arrivare a questi estremi? Perché farsi del male? Di che cosa si deve punire questi ragazzi? Di non essere mai andato bene a nessuno? Di non essere mai stati perdonati? Il problema non è continuare a dire a questi piccoli diventa come me, oppure diventa meglio di me… la domanda è che se l’adulto ha visto la bellezza di un tramonto, che colora il cielo con intensità, il compito che si assume come educatore è soltanto quello di gridare , «C’è il tramonto ragazzi, c’è il tramonto! ». L’educatore non è quello che fa la cosa giusta tutte le volte, ma quello che grida: «C’è il tramonto!» » perché ne ha pieni gli occhi che quindi gli brillano, perché ne ha fatto esperienza. Allora avrà anche sbagliato in alcune occasioni, ma il bambino o il ragazzo lo guarda e vede in lui la bellezza del tramonto riflessa nei suoi occhi. È allora che crede e può andare a vedere, perché quello che l’adulto gli insegna è la direzione. C’è il tramonto e basta! I genitori possono dire ai loro figli, gli insegnanti ai loro alunni: « Bambini, ragazzi, c’è il tramonto!». Io ho dei limiti, faccio quello che posso, non guardate me ma il tramonto! Questa è la direzione.

psicologa RIPRODUZIONE RISERVATA

Educare è un’arte che non richiede solo competenze “tecniche” ma anche e soprattutto passione, dedizione, impegno e creatività.