Serve un esempio di adulto credente: più risposte alle domande esistenziali

di Paola Bignardi da Avvenire domenica 12 novembre 2023

La fede dei giovani non può essere quella dei loro genitori, va rigenerata

Il possibile modello di vita cristiana contemporanea deve porsi in relazione con il cambiamento antropologico: soggettività, affettività e meno autorità

Ogni domenica Paola Bignardi ci sta conducendo ad avvicinare un mondo giovanile più chiacchierato che conosciuto, a partire dalla convinzione che occorra abbandonare gli stereotipi con cui abitualmente si guarda e si giudica una generazione piena di risorse, che si sente lasciata ai margini, impossibilitata a offrire al mondo in cui si affaccia il proprio originale apporto. Gli articoli si avvalgono delle indagini dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo e del lungo ascolto che i suoi ricercatori fanno di decine di adolescenti e giovani con interviste individuali, focus group, rilevazioni statistiche. La ricerca cui si fa particolare riferimento è quella in corso di pubblicazione e dedicata ai giovani che si sono allontanati dalla Chiesa, in un ideale confronto con coloro che sono rimasti. È frutto di un attento ascolto, ed è, anche per il lettore, un invito a fare altrettanto. Le altre puntate su Avvenire.it.

L’attività formativa delle parrocchie è dedicata quasi esclusivamente alle nuove generazioni: catechesi ai piccoli, animazione per ragazzi e adolescenti, qualche iniziativa per i giovani. Eppure oggi ad essere in crisi è la fede degli adulti, un modello adulto di vita cristiana, contemporanea che faccia percepire ai credenti di essere donne e uomini di oggi. La pandemia ha messo in evidenza come la fede degli adulti fosse già in crisi ancor prima del lockdown. Il lungo periodo passato senza frequentare la Chiesa, l’abitudine a “guardare” la Messa in TV anziché recarsi in una comunità con cui condividere la celebrazione, ha dato a tanti adulti l’idea che la Messa in parrocchia o in TV in fondo potevano equivalersi, o che era possibile vivere bene anche senza andare a Messa.

La mancata partecipazione all’Eucaristia è apparsa come l’indicatore concreto di un disagio adulto nel rapporto con la Chiesa; ha segnato una distanza che le limitazioni della pandemia hanno solo fatto emergere. Si può dire in modo un po’ semplicistico che gli adulti hanno capito o hanno deciso di manifestare il loro non riconoscersi più nel profilo di cristiano adulto che viene proposto loro, e ne hanno preso le distanze. E così, i percorsi di adulti e giovani si congiungono, in uno smarrimento da cui è difficile prevedere l’uscita. Ciò di cui vi è necessità oggi e che i giovani segnalano come urgenza, non è solo quella di avere davanti a sé credenti adulti significativi, ma un modello contemporaneo di adulto credente.

Si è detto che l’allontanamento deliberato e consapevole dei giovani si verifica per lo più attorno ai 16-17 anni, cioè quando si presentano le domande “da adulti”, quando si comincia ad avvertire come imprescindibile l’esigenza di dare ragioni personali alle proprie scelte. Il modo con cui oggi si strutturano le proposte formative per adolescenti e giovani che continuano a frequentare le proposte della parrocchia dopo la Cresima mi pare che sia ispirato a una sostanziale continuità con il precedente percorso di iniziazione, pur con gli adattamenti riguardanti il crescere dell’età: come approfondimento, come ampliamento della formazione già ricevuta.

Ma è proprio quella formazione che i giovani rifiutano, ritenendola una cosa da bambini; anche quando il cammino catechistico precedente è stato positivo e gradevole, i ragazzi diventati adolescenti e giovani identificano quella proposta con la loro storia passata. Le loro domande non sono ora di natura religiosa, ma esistenziale; non riguardano la fede, ma la loro vita. Mi chiedo se la crisi di questa età e la relativa proposta formativa non siano da affrontare nel segno della discontinuità, accompagnando i giovani non tanto a rafforzare le conoscenze e le ragioni che hanno già ricevuto, quanto a trovare ragioni nuove a domande nuove e a porre in dialogo questi interrogativi con una visione credente.

La fede adulta, nel contesto attuale, difficilmente può essere la prosecuzione della fede da ragazzi; mi pare che debba essere una fede generata ex novo, quasi a ripercorrere dall’inizio, dalla sua genesi, il cammino che apre al mistero di Dio e all’incontro con Cristo. Ciò che i più giovani hanno vissuto, durante la catechesi o le altre iniziative formative, non è inutile; se è stato positivo, costituisce il terreno buono, ricco, che può permettere loro di considerare senza pregiudizi e senza troppa diffidenza la proposta religiosa; in fondo, quasi tutti loro riconoscono che quello che hanno ricevuto dalla comunità cristiana ha permesso loro di diventare le persone che sono; di questo sono esplicitamente riconoscenti, anche dopo aver abbandonato la fede. Ma alle soglie della maturità, avvertono il bisogno di altro.

La fede adulta dei giovani di oggi non può essere quella delle loro madri o dei loro padri, ma una fede adatta a questo tempo e alle domande nuove che esso suscita nella loro coscienza di persone di oggi. Per gli educatori, si apre il tempo di un impegno appassionante e difficile, una vera conversione spirituale e intellettuale: passare dall’idea di una fede trasmessa a quella di una fede generata, nelle doglie del parto non solo di un’esperienza religiosa nuova, ma anche di una nuova esperienza di umanità. Il modello di una vita cristiana adulta, contemporanea, disposta e capace di dialogare con questo tempo, credo debba porsi in relazione con i tratti di quel cambiamento antropologico che ha nei giovani le sue antenne più sensibili: importanza della propria soggettività e della dimensione emotivo – affettiva; diffidenza verso ogni forma di autorità; vivo senso delle relazioni; domanda di interiorità…. A partire da qui, quale modello di vita cristiana può essere attrattivo per chi si apre alla stagione della maturità?

Ascoltando i giovani non credenti, quando dicono a quali condizioni sarebbero disposti a riconsiderare la loro posizione, ci si rende conto che la loro prima richiesta riguarda la Chiesa: chiedono una Chiesa diversa, che abbia le caratteristiche descritte in un precedente articolo. Credo che si possa dire che una fede da adulti è quella che tratta i credenti da adulti, cioè che li riconosce soggetti di responsabilità, di pensiero e di iniziativa. Verrebbe da dire che è adulta una fede consapevole, che ha nella coscienza personale non solo le ragioni per sostenersi, ma che può contare anche su una rielaborazione personale di tali ragioni, cioè di un modo proprio di abitare la relazione con il Signore, con il mondo, con la comunità….

Un modo che, essendo personale, non può che avere l’impronta del modo con cui oggi viene pensato e vissuto l’umano. Si apre qui tutta la questione del rapporto tra le diverse visioni personali e le tradizioni (o le abitudini?) della Chiesa. È la comunità cristiana disposta a farsi spazio di dialogo, tra il modo consolidato di vivere il cristianesimo e le diverse visioni in cui confluiscono le sensibilità, le tensioni, i problemi di questo tempo? Una fede da adulti è responsabile delle proprie scelte e non accetta di essere sempre dipendente nelle proprie ragioni da altri; è una fede che non sopporta soggezioni o sottomissioni, che non accetta imposizioni e visioni dogmatiche, non perché pretende di essere autonoma, ma perché vorrebbe essere libera, riconosciuta nella dignità delle proprie ragioni, in cerca di un confronto. L’adulto sperimenta ogni giorno la complessità di mettere la propria vita in relazione con culture che rispondono ciascuna ad una propria logica e vorrebbe che avessero ascolto le sue ragioni, che trovassero spazio le sue competenze, i suoi interrogativi, le sue esperienze. Quanto ascolto c’è oggi nella comunità cristiana per questo vissuto?

Non solo: oggi non basta essere ascoltati, se poi tutto prosegue come prima. Una fede da adulti ha desiderio e necessità di partecipare a quella reinterpretazione del cristianesimo che avverte come un’urgenza; è la fede aperta al cambiamento, perché la vita delle persone nel cambiamento è immersa. Si direbbe che è il rapporto con la vita ciò che accredita o esclude dalla considerazione dei giovani l’apertura ad un’esperienza di fede, che non sia la prosecuzione di ciò che hanno vissuto da bambini, ma sia immergersi in un orizzonte nuovo, in cui fede e vita stanno insieme in un reciproco dialogo, talvolta tranquillo, altre volte dialettico, altre volte ancora conflittuale, ma sempre segno di una reciproca considerazione.

Senza questa partecipazione alla ridefinizione di un profilo adulto di vita cristiana i giovani si rendono conto che la fede che hanno conosciuto da ragazzi è destinata a ripetersi senza novità, e soprattutto senza contemporaneità. È un crinale questo, in cui la questione della proposta di fede ai giovani si incontra con la difficile fede degli adulti e con la questione ecclesiale dei laici cristiani.

A qualcuno potrebbe venire in mente che i giovani hanno bisogno di avere davanti a sé la testimonianza di adulti che interpretino in maniera credibile una fede matura; ma forse sarebbe ingiusto nei confronti di una generazione adulta che conosce anch’essa le sue fatiche e le sue incertezze. Forse è da credenti adulti porsi gli uni accanto agli altri, in un cammino comune, che è la sinodalità effettiva verso cui Papa Francesco sta sospingendo la Chiesa tutta.

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