Senza ascolto, spazi nè responsabilità Perchè le giovani lasciano la Chiesa

di Paola Bignardi da Avvenire domenica 19 novembre 2023

Si definisce cattolico il 39 per cento, solo dieci anni fa erano più del 61

Le ragazze, più dei maschi, oggi cercano una relazione personale con Dio. E se non sentono accolto il loro modo originale di vivere la fede se ne vanno, in silenzio

Ogni domenica Paola Bignardi ci sta conducendo ad avvicinare un mondo giovanile più chiacchierato che conosciuto, a partire dalla convinzione che occorra abbandonare gli stereotipi con cui abitualmente si guarda e si giudica una generazione piena di risorse, che si sente lasciata ai margini, impossibilitata a offrire al mondo in cui si affaccia il proprio originale apporto. Gli articoli si avvalgono delle indagini dell’Osservatorio Giovani dell’Istituto Toniolo e del lungo ascolto che i suoi ricercatori fanno di decine di adolescenti e giovani con interviste individuali, focus group, rilevazioni statistiche. La ricerca cui si fa particolare riferimento è quella in corso di pubblicazione e dedicata ai giovani che si sono allontanati dalla Chiesa, in un ideale confronto con coloro che sono rimasti. È frutto di un attento ascolto, ed è, anche per il lettore, un invito a fare altrettanto. Le puntate precedenti su Avvenire.it.

Le giovani donne si stanno allontanando dalla Chiesa più velocemente dei loro coetanei maschi. Si direbbe che il rapporto delle donne con la fede e soprattutto con la Chiesa conosce un processo di progressiva estraneità, tanto intenso quanto intensa è stata in un passato anche recente la forza dell’attaccamento affettivo e operativo delle donne: assidue alla pratica religiosa molto più dei loro coetanei maschi, attente all’insegnamento della Chiesa, sempre pronte a prestare il loro servizio alla comunità nei ruoli più diversi, accomunati tutti dall’essere umili: pulizia della chiesa, visite ai malati, centri di ascolto dei poveri, servizio al bar dell’oratorio e anche catechesi, soprattutto ai piccoli. Nessun ruolo di responsabilità, nessuna possibilità di prendere decisioni se non su temi di scarso rilievo, nessuna possibilità di influire sulle scelte di fondo della comunità. A donne che la responsabilità la conoscono bene, anche nei suoi risvolti più faticosi, in famiglia, nel lavoro, nella scuola, questa situazione ormai sta stretta. Le cifre che le ricerche statistiche presentano sono fin troppo eloquenti; è urgente cercare di prendere consapevolezza del disagio delle giovani e cercare di interpretarlo. Che cosa sta succedendo alle ragazze, la componente tradizionalmente più aperta all’esperienza religiosa e al servizio pastorale?

Per questo ho deciso di dedicare proprio a loro, in modo esclusivo, una riflessione.

Il linguaggio delle cifre 

Per capire il livello di estraneazione delle donne dalla Chiesa bastano alcuni dati; non solo quelli che fotografano l’oggi ma anche la loro evoluzione negli ultimi anni. Prendo queste cifre dalle indagini dell’Osservatorio Giovani Toniolo. Oggi le giovani che si autodefiniscono cattoliche sono il 39%; nel 2013, cioè solo dieci anni fa, erano il 61,2%: una differenza che colpisce. Le ragazze che si ritengono atee sono il 39%: nel 2013 erano il 12%. Molti altri sono i dati che si potrebbero riportare: quelli che riguardano la pratica religiosa, l’opinione circa il valore di un’esperienza religiosa. Mi limito a citare qui quello che riguarda la fiducia delle giovani donne nella Chiesa: su una scala da 1 a 10, quelle che dichiarano di averne massima fiducia sono l’1%, quelle che non ne hanno nessuna fiducia sono il 30% (dato del 2021). I dati dicono di un malessere profondo che genera allontanamento dalle espressioni concrete e pubbliche della fede, parlano anche di una condizione femminile in movimento, sembrano essere anche segnali di un disagio diffuso, che vede le ragazze in sofferenza rispetto a tanti aspetti che riguardano l’atteggiamento di fondo verso la vita.

Non è facile capire le ragioni di fondo di una tale disaffezione. I primi a non capirlo sono i coetanei maschi, qualcuno dei quali ha dichiarato che le donne nella Chiesa in fondo sono molto presenti, portano avanti molte attività. Per questo non si riesce a spiegarne il disagio. Si potrebbe pensare che di esso sia causa l’esclusione dai ministeri ordinati. È vero che qua e là si affaccia questo motivo, come un elemento di cui non si capisce la ragione. Ecco una testimonianza:

« Penso che nella Chiesa dovrebbe esserci più spazio per le donne; non vedo perché una donna non possa fare il parroco e che questo ruolo sia riservato solo agli uomini». Ma il fatto è percepito come una questione interna alla Chiesa, cui le ragazze guardano dall’esterno, con distacco. Dunque perché le giovani hanno interrotto il loro rapporto con la Chiesa e/o con la fede? Che cosa stanno silenziosamente chiedendo, con le loro scelte?

Le donne non chiedono potere nella Chiesa, non chiedono posti di rilievo, ma molto di più. Chiedono una Chiesa diversa: umana, evangelica, accogliente, misericordiosa, attenta ai poveri, senza potere; una Chiesa dialogica, capace di ascoltare. Chiedono soprattutto che la Chiesa cambi il suo pensiero su di loro, che non sono né casalinghe destinate alla cura, né angeli del focolare, né incapaci di prendersi delle responsabilità e di gestirle con maturità. Finché questo non accadrà continueranno ad andarsene in silenzio, senza protestare, perché non hanno fiducia di essere ascoltate. Non resteranno nella Chiesa se questa non permetterà loro di dire la loro visione della famiglia, del corpo, della sessualità, del lavoro, della vita… «Credo che una maggiore presenza delle donne – dice una giovane ventiseienne – probabilmente cambierebbe molte cose, cambierebbe la modalità di linguaggio, senza cambiare l’essenza e il messaggio. Lasciare voce alle donne, sicuramente cambierebbe le cose in maniera positiva».

Un sogno di Chiesa 

Le donne chiedono alla Chiesa di avere fiducia in loro, di far loro percepire concretamente che c’è bisogno non solo delle loro braccia o del loro tempo, ma della loro testa, del loro cuore, della loro vita; c’è bisogno di loro per una comprensione più complessa e più profonda della fede. Il modo di vivere la fede, da parte delle donne, è originale. Anche per questo c’è bisogno di loro. Il profilo religioso delle giovani donne penso si possa delineare così: una fede che cerca non una dottrina su Dio ma la relazione con Dio; questa si esprime in una preghiera soggettiva e poco interessata alle forme codificate, strutturate, della preghiera liturgica. La ricerca di una Presenza, della relazione con Dio, prevale decisamente sul bisogno di capire e sulla domanda di una verità. La fede prende spesso il carattere dell’emozione e dell’affettività, certamente legato al peso che in essa ha la relazione. Le giovani chiedono di esprimere la fede in esperienze coinvolgenti e concrete, che permetta loro di essere sé stesse, di sentirsi protagoniste, di rendersi utili. Hanno bisogno di vivere una fede come impegno per le persone più che nell’organizzazione di attività, nella forma del prendersi cura. Si tratta di tre direttrici (autoespressione, protagonismo, bisogno di concretezza) che si possono riscontrare anche nei giovani maschi: a differire sono i modi e l’intensità con cui queste aspirazioni si traducono.

Nella situazione attuale le donne che sono rimaste nella comunità cristiana hanno davanti a sé alcune strade. O finire irretite in dinamiche di marginalità ecclesiale segnate dalla dipendenza e da un corrispondente risentimento, oppure offrire la dimensione carismatica della loro presenza e chiedere che venga riconosciuta come tale. Il modo originale di leggere la realtà, la capacità di ascolto, uno stile di relazione e di decisione attento all’altro consentono loro di entrare nelle dinamiche ecclesiali con libertà, creatività, empatia. È il cambio di stile che vorrebbero e di cui forse la Chiesa di oggi ha molto bisogno: sognare e rischiare, osare e abitare la concretezza del quotidiano. Questo è il sogno che le donne hanno sulla Chiesa. Potremmo dire che questo è il sogno di tutti (forse anche quello di Dio!), ma le donne che se ne vanno, così rapidamente, ci stanno dicendo che il tempo è scaduto.

Il magistero, dal Concilio in poi, non ha mancato di far sentire la propria voce per dire la stima della Chiesa per le donne; lo ha fatto papa Giovanni Paolo II con documenti importanti, tra cui la poco citata Lettera alle donne (1995), in cui vi sono importanti ammissioni degli errori anche della Chiesa e dell’impegno delle donne per il riconoscimento della dignità della condizione femminile e dei diritti relativi. Lo ha fatto con la Mulieris dignitatem (1988) in cui parla addirittura di genio femminile. Lo sta facendo papa Francesco attribuendo ad alcune donne posti di responsabilità nella Chiesa e invocando il loro coinvolgimento nelle decisioni, a tutti i livelli. E di fronte a questi riconoscimenti, viene da chiedersi, un po’ ironicamente: se è vero che alla donna è riconosciuto un “genio”, perché mai privarsene?

Le giovani donne che non sanno cosa sia il Concilio e non conoscono i documenti della Chiesa non hanno bisogno di dichiarazioni di principio astratte: hanno bisogno del linguaggio delle scelte concrete, di quella vita che loro stesse possono vedere e sperimentare. Il magistero non manca; è ora di tradurlo in vita di Chiesa. Le giovani donne ci stanno dicendo che non c’è altro tempo.

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