La orbite non mentono: hanno una regolarità millimetrica. La scienza lo sa. Ma a noi, quaggiù, giunge il brivido del mistero
Isaia 13,10: «Poiché le stelle del cielo e la costellazione di Orione non daranno più la loro luce; il sole si oscurerà al suo sorgere e la luna non diffonderà la sua luce». Nel giorno in cui il cielo si oscura, qualcosa si ferma. Non solo il Sole, non soltanto la Luna. Qualcosa si immobilizza dentro l’uomo. È una pausa che non ha nulla a che fare con il silenzio consueto del giorno o della notte, ma appartiene a un’altra dimensione, più vicina al battito sospeso del destino. Le eclissi – solari o lunari – accadono secondo calcoli precisi, ma l’effetto che producono va oltre il prevedibile. Come se, per un attimo, la logica del mondo cedesse il passo a una forza più antica, che non ha nome.
Le orbite non mentono. La Luna gira attorno alla Terra con una regolarità millimetrica. Il suo perigeo – la distanza minima dalla Terra – è di circa 363.300 chilometri, mentre l’apogeo la porta a 405.500 chilometri. La Terra, a sua volta, orbita intorno al Sole con una distanza media di circa 149.600.000 chilometri. Il Sole appare nel cielo con un diametro angolare di circa 0,53°, all’incirca uguale a quello della Luna vista da Terra. È solo per questa coincidenza cosmica che possiamo assistere al fenomeno delle eclissi solari totali. La scienza lo sa: le eclissi avvengono quando la Luna attraversa i nodi della sua orbita, quei punti in cui essa interseca l’eclittica terrestre. La Luna compie un’orbita completa ogni 27,3 giorni (mese siderale), ma la sincronia tra fasi lunari e posizione orbitale fa sì che le eclissi siano relativamente rare. Avvengono solo quando il novilunio (per le eclissi solari) o il plenilunio (per le eclissi lunari) coincidono con il passaggio della Luna in uno dei due nodi. Un gioco di inclinazioni e distanze, che restituisce l’ombra perfetta. Ma a noi, quaggiù, giunge altro: il brivido del mistero, la vertigine dell’invisibile.
L’eclissi non è soltanto un fenomeno fisico: è un accadimento. Qualcosa che entra nel tempo, lo distorce, lo dilata. È la testimonianza che l’universo, pur governato da leggi ferree, sa ugualmente sorprenderci. Là dove la luce svanisce, si fa spazio l’immaginazione. Nelle eclissi, l’arte ha trovato sempre materia viva: cieli anneriti, volti senza contorno, paesaggi colpiti da una luce laterale, come se la realtà fosse improvvisamente vista di sbieco. I pittori hanno inseguito il chiaroscuro dell’eclissi con la stessa ostinazione con cui gli astronomi ne calcolavano il ritorno. L’iconografia medievale mostra il Cristo crocifisso sotto un cielo oscurato. In molte miniature, il Sole appare annerito, la Luna rossa. L’effetto atmosferico della rifrazione della luce solare, durante un’eclissi lunare, tinge il nostro satellite di un rosso cupo. La spiegazione è semplice: la luce solare, piegata dall’atmosfera terrestre, filtra selettivamente le lunghezze d’onda blu, lasciando passare i toni caldi. E la Luna, così, si fa sangue.
Anche nella filosofia, l’eclissi è figura. È l’irruzione del limite, la comparsa dell’opacità. La luce che viene meno non è solo un’assenza, ma una domanda. Perché vediamo? E che cosa accade quando non vediamo più? L’eclissi impone una meditazione sulla visibilità, sull’essenza della luce. È lo smascheramento della fiducia sensibile. Quel che crediamo eterno – il Sole – può scomparire. Quel che pare muto – la Luna – può infiammarsi. È un rovesciamento, un’esperienza dell’inatteso. Come una crepa nell’abitudine. I l cristianesimo ha assorbito le eclissi nella sua simbologia più profonda. Il buio al momento della crocifissione – testimoniato nei Vangeli sinottici – viene interpretato come segno cosmico della morte del Figlio. Alcuni storici hanno provato a datare la crocifissione incrociando le fonti evangeliche con gli eventi astronomici. Si è ipotizzata un’eclissi lunare il 3 aprile dell’anno 33 d.C., visibile da Gerusalemme, associata alla descrizione degli Atti degli Apostoli (2,20). Non è certo che si trattasse di un’eclissi solare – impossibile in fase di plenilunio – ma l’immaginario cristiano ha sovrapposto il buio del cielo al buio del mondo. Non è un semplice fenomeno ottico: è la natura intera che partecipa al dramma. Il Sole che si oscura è figura del mondo che piange, della creazione che si ritira. E la Luna, che si lascia inghiottire dall’ombra terrestre, diventa immagine dell’anima che passa nella notte prima di una nuova luce. San Giovanni della Croce parlava di «notte oscura dell’anima»: anche questo, in fondo, è un tipo di eclissi.
C’è qualcosa di irriducibile nell’eclissi, qualcosa che sfugge al dato. Il cielo si fa teatrale, ma senza enfasi. Nessun tuono, nessun vento. Solo l’ombra che avanza. Gli animali tacciono. Gli uomini guardano. Alcuni pregano, altri fotografano. Qualcuno si commuove, senza sapere perché. Lo sguardo, alzato in alto, cerca qualcosa che non è lì. Forse cerca se stesso. L’uomo antico tremava. Le cronache cinesi, babilonesi, maya sono piene di racconti di eclissi vissute come catastrofi. I sacerdoti interpretavano, i popoli offrivano sacrifici. Anche nella Roma imperiale, l’eclissi era un monito. Tacito narra che un’eclissi precedette la morte dell’imperatore Augusto. Nel mondo islamico, il profeta Maometto osservò un’eclissi e indicò il fenomeno come «segno di Dio». Anche oggi, in alcuni luoghi, si mantengono preghiere rituali durante l’oscuramento.
Ma al di là del tempo e delle fedi, resta l’essenza: una luce che si spegne. Una visione che si oscura. E il senso dell’immenso che ci guarda. L’eclissi è, forse, uno dei pochi momenti in cui l’essere umano può intuire il proprio posto nell’universo: piccolo, temporaneo, ma non irrilevante. Il cielo non ha occhi, eppure ci guarda. Le eclissi seguono cicli. Il più noto è il ciclo di Saros, scoperto dai Caldei e perfezionato dagli astronomi moderni: ogni 18 anni, 11 giorni e 8 ore, il medesimo allineamento si ripete. Conoscendo questo, gli antichi già predicevano le oscurità. Eppure, pur sapendolo, ogni eclissi è diversa. Perché il luogo cambia, l’ora cambia, e anche lo sguardo di chi osserva non è mai lo stesso. Nel 2026, l’Italia assisterà a un’eclissi parziale. Nel 2027, in alcune regioni meridionali, si potrà osservare un’eclissi solare totale. Ci si preparerà, si venderanno occhiali filtranti, si organizzeranno spedizioni. Ma ci sarà anche chi, per puro caso, alzerà gli occhi e vedrà il giorno farsi notte. E proverà quel brivido antico, quella sospensione che non ha nome.
E forse è questo il senso ultimo: ricordare che, nonostante tutta la nostra scienza, qualcosa in noi ancora si piega davanti all’ignoto. Le eclissi parlano un linguaggio antico, che ha a che fare con la paura e la bellezza. Sono finestre temporanee su un ordine diverso, momenti in cui la Terra, la Luna e il Sole si dispongono in un equilibrio che più che riguardarci ci attraversa. E per qualche minuto, tutto si fa più chiaro proprio mentre la luce si spegne. In quei minuti – quando il cielo tace, quando l’ombra sfiora le città – l’uomo ricorda d’essere parte di qualcosa di più grande. Non una macchina che misura ma un viaggiatore in ascolto. L’eclissi è un messaggio senza parole, una preghiera senza voce, un indizio che la verità, talora, non è nella luce, ma nella sua assenza. Padre perdonali perché non sanno quello che fanno, oggi sarai con me in Paradiso, Donna ecco tuo Figlio, Figlio ecco tua madre ed infine il Padre nelle tua mani consegno il mio Spirito. Tutto è compiuto affinché tutto si possa davvero compiere. In alto il cuore.
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